Le rovine del tempio di Apollo a Gortina (Creta). |
“Gli Augusti imperatori Teodosio,
Arcadio e Onorio
a Rufino
prefetto del pretorio. Nessuno, di qualunque
genere, ordine, classe o posizione sociale o ruolo onorifico, sia di nascita
nobile sia di condizione umile, in alcun luogo per quanto lontano, in nessuna
città scolpisca simulacri mancanti di sensazioni o offra [alcuna] vittima
innocente [agli dèi] o bruci
segretamente un sacrificio ai Lari,
ai Geni, ai Penati, accenda
fuochi, offra incensi, apponga corone [a questi idoli]. Poiché se si ascolterà che qualcuna avrà immolato una vittima
sacrificale o avrà consultato viscere, sia accusato di reato di [lesa] maestà, e accolga la sentenza competente, benché
non abbia cercato nulla contro il principio della salvezza [Dio] o contro la [sua] salvezza. È sufficiente infatti per l’accusa di crimine il volere
contrastare la stessa legge, perseguire le azioni illecite, manifestare le cose
occulte, tentare di fare le cose interdette, cercare una salvezza diversa
[da quella cristiana], promettere una
speranza diversa. Se qualcuno poi ha venerato opere mortali e simulacri mondani
con incenso e, ridicolo esempio, teme anche coloro che essi rappresentano, o ha
incoronato alberi con fasce, o eretto altari con zolle scavate alle vane
immagini, più umilmente è possibile un castigo di multa: ha tentato una
ingiuria alla pia religione [cristiana],
è reo di violata religione. Sia multato nelle cose di casa o nel possesso, essendosi reso servo della superstizione
pagana. Tutti i luoghi poi nei quali siano stati offerti sacrifici d’incenso,
se il fatto viene comprovato, siano associati al nostro fisco. Se poi in templi
e luoghi di culto pubblici o in edifici rurali qualcuno cerca di sacrificare ai
Geni, se il padrone di casa non ne è a conoscenza, 25 libbre d’oro di multa si propone di infliggere
[al sacrificante], è bene poi essere
indulgenti verso lui [il padrone] e
la pena trattenere. Poiché poi vogliamo custodire l’integrità di giudici o
difensori e ufficiali delle varie città, siano subito denunciati coloro
scoperti [negligenti], quelli
accusati siano puniti. Se questi infatti sono creduti nascondenti favori o
negligenze, saranno sotto giudizio. Coloro poi che assolvono [gli accusati
di idolatria] con finzione, saranno
multati di 30 libbre di oro, sottostando anche agli
obblighi che derivano da un loro simile comportamento dannoso. Costantinopoli,
in data VI idi di novembre, sotto il consolato di Arcadio e Rufino.”[1]
Dice
H. Brandt, in L’epoca tardoantica: “Da allora, in ogni caso, questa
battaglia [quella sul Frigido, combattuta da Teodosio I contro Eugenio nel
394] fu idealizzata come l’ultimo duello fra paganesimo e Cristianesimo. È
un giudizio che coglie nel segno nella misura in cui Eugenio fu effettivamente
l’ultimo candidato al trono imperiale decisamente filopagano, ma risulta in un
certo senso ingannevole in quanto il paganesimo non scomparve affatto dopo la
sconfitta di Eugenio, ma i culti pagani continuarono ad essere praticati in
Italia, in Gallia e nelle regioni alpine ancora fino al VI secolo inoltrato.”
È
vero solo in parte, vedremo poi perché; inoltre, Brandt non nomina, tra le
regioni in cui sopravvisse il paganesimo, la Britannia, la terra meno
cristianizzata dell’Impero Romano (e ricordiamo che in zone formalmente non
sotto il dominio romano, come la Scozia e l’Irlanda, la cristianizzazione
iniziò ben più tardi che nel resto del dominio in questione, rispettivamente
nel IV e nel V secolo).
Un’altra
cosa: col brano citato prima egli nomina solo l’Occidente, ma l’Oriente? Ecco
un altro fatto interessante: è opinione comune che in Oriente il cristianesimo
fosse talmente diffuso da costituire la stragrande maggioranza della
popolazione fin dai tempi di Costantino I. In realtà, il paganesimo era in maggioranza
(anche se non schiacciante) anche ai tempi di Valente o di Teodosio I, e solo
successivamente le cose cambiarono (a prova di ciò, basta guardare i personaggi
a noi conosciuti dell’epoca, e quale fosse la loro religione).
Tornando
prettamente nel sagrato, stavamo parlando appunto di Teodosio I e dei suoi
editti: ebbene, a conti fatto ogni forma di culto tradizionale sarebbe dovuta,
secondo quanto si dice, scomparire nell’arco di breve tempo. In realtà, ne
troviamo traccia anche durante il periodo di Giustiniano I (527-565), poiché “dal tempo di Teodosio I nessun altro
imperatore si era impegnato come lui nella lotta per la cristianizzazione
dell’impero e per la sconfitta del paganesimo. Per quanto il numero dei pagani
si fosse considerevolmente assottigliato, la loro influenza nella vita
culturale e nell’insegnamento restava molto forte.” [2] Cito ancora Brandt: “Già poco dopo la sua entrata
in carica, Giustiniano diede un chiaro segnale della sua risolutezza nelle
questioni di politica religiosa facendo chiudere la famosa Accademia di Atene
(529). La scuola filosofica neoplatonica [...] in quel momento era
ancora vivace in particolare ad Atene e ad Alessandria; specialmente le
università dell’Oriente greco costituivano ancora un bastione della
spiritualità tradizionale e quindi pagana.” A questo punto “gli insegnanti che ne vennero cacciati si
rifugiarono alla corte dell’imperatore persiano e portarono in Persia i frutti
della cultura greca. A Bisanzio la vecchia religione era ormai morta, e con
questo si chiudeva un’intera epoca di storia umana.” [3] Va
poi detto che “nello stesso anno 529 le ambizioni missionarie di Giustiniano
sono dimostrate anche da un generale appello a tutti i pagani a convertirsi al
Cristianesimo, che negli anni a seguire Giovanni, vescovo di Efeso, cercò di
mettere in pratica con roghi di libri e battesimi di massa. Peraltro l’offensiva
di Giustiniano contro i pagani non ebbe un successo definitivo, come mostrano i
reiterati divieti e le minacce che continuarono a comparire nei decreti
imperiali sull’argomento.” J. Irmscher, a proposito del sopraccitato
vescovo efesino, ci dice anche che, “appoggiato da un certo numero di
sacerdoti e diaconi, secondo quanto egli stesso riferisce, Giovanni portò alla
Chiesa 70.000 persone; quindi l’antica fede era ancora assai diffusa.”[4] La presenza di seguaci degli antichi dèi è confermata
anche dalle Carte Segrete di Procopio (lo storico del periodo
giustinianeo): “Poi [Giustiniano I] spostò la persecuzione su un
altro obiettivo, i cosiddetti Elleni, che torturava e derubava. Anche qui,
quelli che si decisero a mutare formalmente il loro nome in Cristiani, cercando
così di rimuovere il pericolo, dopo un po’ venivano sorpresi di solito a effettuare
libagioni, sacrifici e altri riti empi.”
Come
si può vedere, il paganesimo era tutt’altro che morto. Ma resistette alle
pressioni di Giustiniano I? La risposta è sì. J. Irmscher, ne La Politica
Religiosa di Giustiniano Contro i Pagani, scrive: “Ma non era neppure possibile impedire che in territori
lontani o di difficile accesso il paganesimo potesse mantenere alcune
roccaforti. Così ad esempio i blemmi, che conducevano una vita nomade sulla
riva destra del fiume Nilo, osarono ricostruire il tempio di Iside, distrutto
in precedenza ed ebbero la possibilità di sopravvivere come pagani fino al
periodo arabo [VII secolo].”[5] Il tempio in questione, che sorgeva sull’isola di
File, venne fatto chiudere solo nel 560 e riconsacrato come chiesa dedicata
alla Madonna[6].
In
Occidente, quando i Longobardi giunsero in Italia, è risaputo che essi si
convertirono al cristianesimo ortodosso di Roma, e tuttavia le tradizioni
pagane continuarono a esistere fin oltre il VII secolo; scrive P. Nobili: “Tracce di paganesimo e di arianesimo, ben
più a lungo sopravviventi alla formale abolizione dei culti non cristiani
decretata durante il regno di Ariperto I [† 661], persisterebbero tuttavia tenaci, come appare evidente in base a svariate
testimonianze del periodo, tra le quali la celebre, citatissima cerimonia della
giostra augurale intorno alla pelle di animale appesa all’albero descritta in
maniera particolareggiata nella Vita
Barbati appare soltanto come la
più eclatante. Soprattutto è interessata al fenomeno pagano e soprattutto
eretico la frangia più autonoma e tradizionalista della gente longobarda
radunata nell’exercitus nazionale degli arimanni che, a imitazione
di un costume sorto nell’ultimo periodo goto dopo la morte di Vitige, era
solito adunarsi proprio fuori dalle mura di Ticinum [Pavia].” [7] In seguito, l’usurpatore Alachi raccolse sotto di sé
le forze pagane, ariane e tricapitoline per muovere contro il legittimo re
Cuniperto, che ovviamente era ortodosso; sappiamo quindi che esistevano ancora
longobardi che praticavano gli antichi riti nel 689 (data della Battaglia di
Coronate): è dunque lecito pensare che alcune tradizioni si siano conservate
almeno fino al secolo successivo. A questo va aggiunto che anche nell’attuale
Francia sopravvivevano credenze pagane, in quanto nella Vita di Sant’Eligio il vescovo di Noyon (590-660 ca.) dice, durante
una predica volta a evangelizzare il popolo: “Che nessuno osi prestar fede o invocare i nomi dei demoni, o di
Nettuno, o di Orco, o di Diana, o di Minerva, o di Genisco, o di tali
scempiaggini!” [8]
In
Oriente ne troviamo traccia anche sotto il regno di Giustiniano II (a cavallo
fra il VII e l’VIII secolo): “Le
condanne di molti usi e costumi [da parte del Concilio di Costantinopoli IV
del 691] a causa della loro origine pagana o in parte per ragioni morali,
sono per noi dei documenti molto interessanti sui costumi della vita popolare
del tempo. Così veniamo a sapere che si celebravano ancora feste pagane, tra
cui anche la festa dei brumalia, in cui donne e uomini giravano per le strade
travestiti e mascherati; che durante la vendemmia venivano ancora cantati inni
in onore di Dioniso e che alla luna nuova si erigevano dei catafalchi davanti
alle case e dei giovani correvano sul fuoco. Queste e molte altre usanze
derivate dall’età pagana vengono ora proibite, tra l’altro agli studenti di
Costantinopoli viene anche proibito di partecipare a rappresentazioni
teatrali.”[9] Non esisteva più l’ellenismo inteso come “paganesimo
colto”, ma evidentemente sussistevano tradizioni a livello popolare, e anche
piuttosto diffuse e ben lungi dall’estinguersi.
L’antica
religione sopravvisse ulteriormente? La risposta è sì. “Vi sono ovviamente altre ‘sacche’ [di paganesimo] e gli evangelizzatori armati di Bisanzio non
vi si arrischiarono a volte che molto tardi. Gli abitanti della Laconia isolati
nella penisola di Mani, montuosa e arida, ma protetta dalla sua stessa
conformazione e ricca per i suoi eccellenti oliveti, non furono convertiti che
sotto il regno di Basilio I (IX secolo). È opportuno precisare che non si
trattava di slavi come accadeva assai spesso nel Peloponneso d’allora, ma dei
discendenti dell’antica popolazione del paese.”[10] Su costoro ci dà poi ulteriori informazioni V. G.
Rassias, nel suo Demolish Them!, ed è confermato dallo stesso Irmscher: “804:
i Gentili greci di Mesa Mani (Cape Tainaron, Laconia, Grecia) resistono con successo
al tentativo di Tarasio, patriarca di Costantinopoli, di convertirli al
cristianesimo. Dal 950 al 988: conversione violenta degli ultimi Gentili Greci
di Laconia da parte dell’armeno santo Nicone.” Siamo dunque alla fine del X
secolo, e sempre in Oriente. In questo periodo va anche menzionata la vicenda
dell’imperatore Alessandro, che “era
stramazzato, così raccontano le cronache, durante una lunga serie di sacrifici
pagani all’Ippodromo - compreso uno al verro, si presume - celebrati per
invocare la guarigione dall’impotenza. Spirò due giorni dopo, domenica 6 giugno
913.” [11] Questi atti, comunque, sono da imputare più alla personale
pazzia del fratello di Leone VI piuttosto che a una vera devozione alle
divinità pagane.
Ma
finì allora ogni forma di culto pagano? Ancora una volta la risposta è no, e
stavolta a riportaci la conferma è Anna Comnena nell’Alessiade (XI
secolo, al tempo della Prima Crociata): “Per questo [gli indovini] adorano
Astarte e Astaroth, e presso di loro ha tanta importanza l’immagine dell’astro
e l’effige dell’oro di Chobar.” Da questo e da altri passi di Anna possiamo
comprendere che anche a Medioevo inoltrato ci fosse gente in Oriente
(probabilmente legata alla magia e all’astrologia, che a quanto si sa e, contro
ogni aspettativa, non era poca) che adorava gli antichi dèi; parimenti i culti
tradizionali (o ciò che ne rimaneva) erano ancora parzialmente vivi nelle
campagne e continuarono a esserlo anche nel secolo successivo, tanto che, dice
Kazhdan, “nel XII secolo i canonici si
lamentavano della diffusione nelle campagne dell’uso di festeggiare Dioniso al
tempo delle vendemmia”.
Infine,
un ultimo baluardo di paganesimo colto (che definiremmo ellenismo) vede la luce
sul finire del XIV secolo a opera di Giorgio Gemisto detto Pletone, filosofo
bizantino a capo di una delle più importanti scuole dell’epoca, quella di
Mistra. “La sua polemica contro
Aristotele aveva anche un significato religioso, in quanto mirava ad abbattere
le tre grandi religioni monoteistiche (ebraica, cristiana e maomettana), per
instaurare una nuova religione sincretica, fondata sui principi del suo platonismo.” [12]; alla sua morte, nel 1452, lo stesso cardinale
Basilio Bessarione, suo allievo, scrisse: “Ho
saputo che il nostro comune padre e maestro ha lasciato ogni spoglia terrena ed
è salito in cielo […] per unirsi agli
dèi dell’Olimpo nel mistico coro di Iacco.” Allo stesso modo, in Occidente,
Giulio Sanseverino (detto Pomponio Leto) fondò, nel 1464, l’Accademia Romana,
con l’obiettivo di restaurare il paganesimo (a quanto pare i suoi membri
festeggiavano il Natale romano il 21 dicembre, e lo stesso fondatore si
autoproclamò pontefice massimo); accusati di cospirazione antipapale e di
paganesimo, vennero duramente perseguitati.
Ovviamente
è impossibile vedere in questi due movimenti umanistici una continuità
ininterrotta con l’antico ellenismo di Plotino e Proclo, ma questa riscoperta è
senz’altro significativa, in quanto avrebbe influenzato tutta la mistica
rinascimentale, riportando in auge una religione che, molto probabilmente,
sopravviveva all’epoca unicamente in zone estremamente isolate e più che altro
in via superstiziosa.
[1] Codex Theodosianus XVI 10, 12.
[2] G.
Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino,
Einaudi, Torino 1968, p 67.
[3] Ibid.
[4] J.
Irmscher, La politica religiosa di
Giustiniano contro i Pagani, in P. F. Beatrice (a cura di), L’intolleranza cristiana nei confronti dei
Pagani, EDB, Bologna 1990, p. 201.
[5] Ibid., p. 202-203.
[6] H.
Belting, Il culto delle immagini. Storia
dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo, Carocci, Roma 2001, p. 55.
[7] P.
Nobili, Tra Tarda Antichità e X secolo. Gli
scenari attorno agli affreschi di Castelseprio, supplemento 11 a Porphyra, aprile 2010, p. 8.
[8] T.
Braccini, Indagine sull’orco. Miti e
storie del divoratore di bambini, Il Mulino, Bologna 2013, p. 50.
[9] G.
Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino,
Einaudi, Torino 1968, pp. 118-119.
[10] P.
Chuvin, Cronaca degli ultimi pagani. La
scomparsa del paganesimo nell’Impero Romano tra Costantino e Giustiniano, Paideia,
Brescia 2009, p. 151.
[11] J.
J. Norwich, Bisanzio. Splendore e
decadenza di un impero, Il Giornale, Milano 2000, p. 186.
[12] Le Garzantine - Medioevo, voce Pletone.
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