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A partire dal IX secolo, molti Ebrei presero a stabilirsi nell’Europa Orientale, in particolare sulle rive del Reno: i discendenti di costoro vennero chiamati in seguito Ashkenaziti o, più semplicemente, Ebrei Orientali (in tedesco Ostjuden); la loro lingua era lo yiddish, derivata dalla fusione storica di ebraico, aramaico e antichi dialetti tedeschi, e oggi ancora largamente diffusa. È importante notare che, nei secoli passati, questi Ebrei Orientali si dividevano in due gruppi: quelli che abitavano in Germania, concentrati nelle città, e quelli che abitavano nei Paesi slavi, per lo più isolati in veri e propri villaggi nelle campagne o in quartieri di grandi centri urbani (shtetlekh, sing. shtetl).
A partire dal IX secolo, molti Ebrei presero a stabilirsi nell’Europa Orientale, in particolare sulle rive del Reno: i discendenti di costoro vennero chiamati in seguito Ashkenaziti o, più semplicemente, Ebrei Orientali (in tedesco Ostjuden); la loro lingua era lo yiddish, derivata dalla fusione storica di ebraico, aramaico e antichi dialetti tedeschi, e oggi ancora largamente diffusa. È importante notare che, nei secoli passati, questi Ebrei Orientali si dividevano in due gruppi: quelli che abitavano in Germania, concentrati nelle città, e quelli che abitavano nei Paesi slavi, per lo più isolati in veri e propri villaggi nelle campagne o in quartieri di grandi centri urbani (shtetlekh, sing. shtetl).
Alla
fine dell’Ottocento, nei Paesi slavi, si diffusero idee tradizionaliste e
largamente intrise di antisemitismo, esattamente come in Germania. Infatti
nell’Impero Russo degli zar, dove le comunità ebraiche erano numerose (circa 5
milioni di persone) ma poco integrate nella società e nella cultura dei Paesi
ospitanti, l’antisemitismo era sancito da leggi discriminatorie e ufficialmente
tollerato, quando non incoraggiato dalle autorità stesse, che se ne servivano
come diversivo per lasciar sfogare il malcontento delle classi subalterne. Di
qui la pratica del pogrom (in russo
devastazione, saccheggio), ossia di periodiche e impunite violenze contro i
beni e le persone degli Ebrei. Se con la Rivoluzione Russa e l’avvento del
comunismo queste pratiche vennero ufficialmente bandite, va comunque ricordato
che in altri Paesi slavi vi furono anche in seguito eclatanti casi di pogrom (ad esempio quello di Jedwabne in
Polonia, nel 1941). Di fatto, comunque, l’URSS era l’unica nazione nella quale
gli Ebrei potevano contare di non essere discriminati, o per lo meno che non si
attentasse alla loro vita.
Durante
la Seconda Guerra Mondiale, la Germania nazista riservò un trattamento
particolarmente duro e inumano ai popoli slavi, considerati razzialmente
inferiori e destinati, nei progetti di Hitler, a una condizione di
semischiavitù: tutta l’Europa Orientale doveva diventare una colonia agricola
del Grande Reich, ogni traccia di industrializzazione e urbanizzazione doveva
essere cancellata, ogni forma di istruzione superiore bandita, le élites dirigenti e gli intellettuali
dovevano essere sterminati fisicamente. Circa 6 milioni di civili sovietici e 2
milioni e mezzo di polacchi morirono negli anni dell’occupazione tedesca. Per
quanto concerne specificatamente gli Ebrei, nei Paesi slavi furono prima
confinati nei ghetti (quello di Varsavia fu teatro, nel 1943, di una disperata
insurrezione terminata con un massacro) e discriminati, anche visibilmente, con
l’obbligo di portare al braccio una stella gialla; quindi furono deportati in
campi di sterminio situati per lo più in località della Polonia e della
Germania, dai nomi destinati a restare tristemente famosi (Auschwitz,
Buchenwald, Dachau e via dicendo). Fra i 5 e i 6 milioni di Israeliti,
provenienti da ogni parte dell’Europa (ma per la maggior parte, come detto,
polacchi e russi) morirono nei lager
nazisti durante gli anni della guerra.
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