Mappa delle popolazioni celtiche. |
Articolo pubblicato su Athame il 22/09/2015.
Oggigiorno
parlare di Celti fa subito venire in mente la loro casta sacerdotale, i druidi,
i quali paiono irrimediabilmente connessi a questa popolazione; ciò pare
tuttavia essere un errore, poiché la loro diffusione risulta, dalle fonti,
estremamente limitata nel tempo e soprattutto nello spazio. Ritenere che
nell’Italia settentrionale ci fossero druidi, ad esempio, è un errore
grossolano. Vediamo perché.
Una collocazione temporale
Il
primo dato da tener presente a riguardo è che le testimonianze del druidismo
(soprattutto letterarie, e anche quelle archeologiche, poche o presunte che
siano) possono essere ritrovate unicamente nella cultura di La Tène, vale a
dire dal VI secolo a.C. in avanti: in precedenza, ovvero durante il periodo
Hallstatt (XIII-VII secolo a.C.) non abbiamo traccia alcuna della cultura
druidica, e questo non può che indurci a ritenere che la nascita di questa
istituzione sia puramente latèniana.
Pare
scontato che la cultura orale del druidismo ci abbia privato di testimonianze
dirette, e tuttavia quelle degli autori classici non sono ignorabili: le più
antiche (del I secolo a.C.) sono, oltre a Cesare, quelle di Diodoro Siculo e
Strabone, per quanto si è ritenuto che essi abbiano tratto queste informazioni
da testi oggi perduti di Posidonio di Apamea (135-50 a.C.). Questo se non altro
ci concede una griglia cronologica relativamente precisa: il druidismo sarebbe
dunque nato tra il VI e il II secolo a.C., poco prima o durante quello che è
considerato l’apogeo della civiltà celtica ma, come abbiamo visto, molto più di
recente rispetto alla nascita della cultura stessa.
Celti senza druidi
La
testimonianza più importante resta ovviamente quella di Cesare, che in questa
sede ci interessa non tanto per la sua descrizione della casta druidica, ma
proprio in ragione della sua stessa esistenza: a differenza degli altri autori
sopraccitati (che si rivolgevano a un pubblico di lingua greca), il condottiero
romano non avrebbe avuto ragione di descrivere i sacerdoti dei Celti ai suoi
connazionali, in particolar modo trattandoli come fossero qualcosa di esotico e
particolare, se essi fossero già stati noti ai suoi lettori. Non dobbiamo
infatti dimenticare che popolazioni celtiche erano stanziate da lungo tempo in
Italia, e con esse i Romani avevano avuto molto a che fare prima di
conquistarle: si parla qui di Senoni, Boi, Cenomani, Insubri e di tutte le
tribù del centro e nel nord Italia. Possiamo dunque ritenere, credo senza
troppi dubbi, che costoro non avessero druidi (anche il vista della totale
mancanza di fonti archeologiche), e un discorso analogo si può fare per gli
abitanti della Gallia Narbonense (l’attuale Francia meridionale), conquistata
nel 121 a.C., dunque dopo l’ipotizzato periodo di nascita del druidismo.
In
effetti lo stesso Livio, parlando dei rituali svolti dai Boi dell’Emilia
Romagna sul corpo dello sconfitto Postumio, nel 215 a.C., nomina come figure
addette al culto un sacerdote e degli antistites
(coloro che sovrintendono al tempio), i quali non rientrano nella celebre
tripartizione della casta druidica riportata da Strabone (formata appunto da
druidi, indovini e bardi); l’autore romano però si premura di specificare che
essi non sono sacerdoti, ma semplici aiutanti del sacerdote stesso, che resta
comunque uno solo. Torneremo più avanti su questo punto.
I
Celti dell’Italia, comunque, non erano certo gli unici a non possedere la
celebre casta sacerdotale: non dobbiamo dimenticare, ad esempio, che i
Celtiberi (vale a dire quelle popolazioni celtiche stanziate nell’attuale
Spagna) si scontrarono coi Romani nel II secolo a.C., e allo stesso modo
nessuna fonte letteraria (né archeologica, in realtà) parla di druidi presso di
loro.
Andando
indietro nel tempo, va ricordato che i Greci conobbero a loro spese i Celti
dell’Europa orientale: nel 281 a.C., infatti, un’invasione di queste
popolazioni stanziate in Pannonia (regione oggi compresa fra Austria, Ungheria,
Slovenia e Croazia) travolse la penisola balcanica, per poi fermarsi in Asia
Minore, in quella che venne chiamata Galazia. Di fatto, testimonianze di
cultura druidica nell’Asia Minore, in Grecia e in Pannonia ovviamente non
esistono; l’unico rimando (e che potrebbe trarre in inganno) si trova in
Strabone, il quale riporta che i Galati dell’Anatolia avevano un luogo ove si
riunivano, definito drunemeton
(letteralmente, e con ogni probabilità, “luogo sacro delle querce”): non c’è
comunque nessuna diretta testimonianza della presenza di druidi, anche in vista
del fatto che in giro per l’Europa esistono altri nemeton con suffissi diversi (ad esempio vernemeton e novionemetum),
e che la quercia è un albero con importanti rimandi mistici in praticamente
tutte le religioni indoeuropee.
I luoghi del druidismo
Ma
dunque dove erano diffusi i druidi? Una locazione puramente geografica (a
differenza di Cesare che parla semplicemente di “Gallia”) ce la fornisce
Cicerone, il quale dice di aver conosciuto un druido di nome Diviziaco, del
popolo degli Edui: veniamo così a sapere che questa tribù celtica della Gallia
centrale, stanziata tra il Saona e la Loira, aveva la casta druidica (il fatto
che costui fosse realmente un druido resta però una questione dibattuta). Il
solito Cesare ci riferisce inoltre che “si
reputa che questa dottrina sia nata in Britannia e che poi sia stata portata in
Gallia, ed ora, quelli che vogliono conoscere questa disciplina più
approfonditamente, perlopiù si recano là per impararla.” (la stessa nozione
ci viene dalla saga irlandese sull’eroe Cú Chulainn). Abbiamo dunque la
conferma di un’ipotesi di grande importanza: il druidismo non è la religione
etnica dei Celti, ma è nato, vale a dire che si è costituito, per l’appunto
come un culto, una casta e una chiesa. La Gallia di cui parla il condottiero
(il luogo a cui tutti gli autori classici associano il druidismo, e nessun
altro) è ovviamente quella che oggi è la Francia del centro e del nord (quella
all’epoca non sotto il dominio romano); la Britannia corrisponde invece
all’attuale Gran Bretagna.
Testimonianze
del druidismo le ritroviamo sparse (sia a livello spaziale che temporale) in
Gallia, Britannia e Ibernia (l’attuale Irlanda), luoghi in cui sicuramente la
casta era giunta e aveva proliferato, espandendosi a partire dalla grande
isola. Essendo però un movimento religioso, e non una tradizione etnica, pare
lecito domandarsi se la diffusione del druidismo fosse uniforme: si deve dare
per scontato che tutte le popolazioni di quelle zone avessero i druidi, oppure
è più lecito pensare che presso alcune tribù tale culto non fosse arrivato, se
non addirittura rigettato in vece di tradizioni più ancestrali, soprattutto nei
luoghi più distanti (come appunto la Penisola Iberica, l’Italia e i Balcani)?
Un parallelo con la diffusione del cristianesimo presso i popoli barbari
durante i primi secoli del Medioevo pare inevitabile. Quel che resta certo, comunque,
è che il “territorio” dei druidi fosse molto più limitato rispetto a quello
della popolazione celtica in sé.
Le due religioni dei Celti
Ma
dunque, se il druidismo non era la religione originaria dei Celti, allora qual
era? Molto semplicemente, essi dovevano avere una religiosità classicamente
indoeuropea, dove la figura del re incarnava sia il potere legislativo che
quello religioso: era infatti egli che si occupava del culto, ad esempio
officiando i sacrifici, probabilmente aiutato da “addetti del sacro”, i quali
però erano più che altro funzionari, e non creavano una classe sociale
distinta, esattamente come accadeva presso i Germani o nella Roma arcaica. A
tal proposito, in un contesto simile la testimonianza di Livio sui Boi diventa
molto più chiara, con la figura del sacerdote (se non il capo, almeno un suo
rappresentante) e degli antistites.
Anche
in vista di determinate parti della dottrina (ad esempio le teorie
metempsicotiche), si è pensato che la filosofia di base dei druidi fosse di
origine straniera (non a caso gli autori classici la associavano all’orfismo e
al pitagorismo): in questo caso il druidismo assume connotati simili allo
zoroastrismo, una religione non etnica ma predicata da un certo momento in poi
della storia del popolo persiano e che, col passare dei secoli, ha integrato e
soppiantato i culti ancestrali. In questo caso i druidi non riuscirono a
ottenere un successo completo, forse a causa dell’ostilità di alcune tribù
celtiche (del resto si sarebbe trattato, per il re, di rinunciare al suo potere
sacrale), forse per la giovinezza del culto che non ebbe il tempo di espandersi
in maniera consistente, ma sicuramente anche a causa dell’ingerenza romana, che
gli impedì di proseguire il suo sviluppo.
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