lunedì 25 luglio 2016

La fine dei culti tradizionali: quando?



Le rovine del tempio di Apollo a Gortina (Creta).
Certamente coloro che si avventurano nello studio della storia delle religioni mediterranee vengono, prima o poi, a scontrarsi con una domanda, più o meno astiosa: quando morì veramente il paganesimo? Se non si fa troppa attenzione alla cosa, o per meglio dire non si dà molto peso alla domanda, si arriverà a una conclusione scontata: le due più grandi religioni “pagane” della zona in questione (ellenismo e zoroastrismo) vennero annientate od obliate, rispettivamente, dal cristianesimo e dall’islam, mentre i vecchi dèi resistettero ancora per qualche tempo nelle campagne, per poi scomparire in breve tempo. Nel primo caso si potrebbe pensare che l’ellenismo fosse talmente agonizzante da “morire” subito dopo i tre editti emanati da Teodosio I nel 391 (24 febbraio, 11 maggio e 16 giugno), per poi culminare con quello dell’8 novembre 392 (che riporto integralmente).
“Gli Augusti imperatori Teodosio, Arcadio e Onorio a Rufino prefetto del pretorio. Nessuno, di qualunque genere, ordine, classe o posizione sociale o ruolo onorifico, sia di nascita nobile sia di condizione umile, in alcun luogo per quanto lontano, in nessuna città scolpisca simulacri mancanti di sensazioni o offra [alcuna] vittima innocente [agli dèi] o bruci segretamente un sacrificio ai Lari, ai Geni, ai Penati, accenda fuochi, offra incensi, apponga corone [a questi idoli]. Poiché se si ascolterà che qualcuna avrà immolato una vittima sacrificale o avrà consultato viscere, sia accusato di reato di [lesa] maestà, e accolga la sentenza competente, benché non abbia cercato nulla contro il principio della salvezza [Dio] o contro la [sua] salvezza. È sufficiente infatti per l’accusa di crimine il volere contrastare la stessa legge, perseguire le azioni illecite, manifestare le cose occulte, tentare di fare le cose interdette, cercare una salvezza diversa [da quella cristiana], promettere una speranza diversa. Se qualcuno poi ha venerato opere mortali e simulacri mondani con incenso e, ridicolo esempio, teme anche coloro che essi rappresentano, o ha incoronato alberi con fasce, o eretto altari con zolle scavate alle vane immagini, più umilmente è possibile un castigo di multa: ha tentato una ingiuria alla pia religione [cristiana], è reo di violata religione. Sia multato nelle cose di casa o nel possesso, essendosi reso servo della superstizione pagana. Tutti i luoghi poi nei quali siano stati offerti sacrifici d’incenso, se il fatto viene comprovato, siano associati al nostro fisco. Se poi in templi e luoghi di culto pubblici o in edifici rurali qualcuno cerca di sacrificare ai Geni, se il padrone di casa non ne è a conoscenza, 25 libbre d’oro di multa si propone di infliggere [al sacrificante], è bene poi essere indulgenti verso lui [il padrone] e la pena trattenere. Poiché poi vogliamo custodire l’integrità di giudici o difensori e ufficiali delle varie città, siano subito denunciati coloro scoperti [negligenti], quelli accusati siano puniti. Se questi infatti sono creduti nascondenti favori o negligenze, saranno sotto giudizio. Coloro poi che assolvono [gli accusati di idolatria] con finzione, saranno multati di 30 libbre di oro, sottostando anche agli obblighi che derivano da un loro simile comportamento dannoso. Costantinopoli, in data VI idi di novembre, sotto il consolato di Arcadio e Rufino.”[1]
Dice H. Brandt, in L’epoca tardoantica: “Da allora, in ogni caso, questa battaglia [quella sul Frigido, combattuta da Teodosio I contro Eugenio nel 394] fu idealizzata come l’ultimo duello fra paganesimo e Cristianesimo. È un giudizio che coglie nel segno nella misura in cui Eugenio fu effettivamente l’ultimo candidato al trono imperiale decisamente filopagano, ma risulta in un certo senso ingannevole in quanto il paganesimo non scomparve affatto dopo la sconfitta di Eugenio, ma i culti pagani continuarono ad essere praticati in Italia, in Gallia e nelle regioni alpine ancora fino al VI secolo inoltrato.”
È vero solo in parte, vedremo poi perché; inoltre, Brandt non nomina, tra le regioni in cui sopravvisse il paganesimo, la Britannia, la terra meno cristianizzata dell’Impero Romano (e ricordiamo che in zone formalmente non sotto il dominio romano, come la Scozia e l’Irlanda, la cristianizzazione iniziò ben più tardi che nel resto del dominio in questione, rispettivamente nel IV e nel V secolo).
Un’altra cosa: col brano citato prima egli nomina solo l’Occidente, ma l’Oriente? Ecco un altro fatto interessante: è opinione comune che in Oriente il cristianesimo fosse talmente diffuso da costituire la stragrande maggioranza della popolazione fin dai tempi di Costantino I. In realtà, il paganesimo era in maggioranza (anche se non schiacciante) anche ai tempi di Valente o di Teodosio I, e solo successivamente le cose cambiarono (a prova di ciò, basta guardare i personaggi a noi conosciuti dell’epoca, e quale fosse la loro religione).
Tornando prettamente nel sagrato, stavamo parlando appunto di Teodosio I e dei suoi editti: ebbene, a conti fatto ogni forma di culto tradizionale sarebbe dovuta, secondo quanto si dice, scomparire nell’arco di breve tempo. In realtà, ne troviamo traccia anche durante il periodo di Giustiniano I (527-565), poiché “dal tempo di Teodosio I nessun altro imperatore si era impegnato come lui nella lotta per la cristianizzazione dell’impero e per la sconfitta del paganesimo. Per quanto il numero dei pagani si fosse considerevolmente assottigliato, la loro influenza nella vita culturale e nell’insegnamento restava molto forte.” [2] Cito ancora Brandt: “Già poco dopo la sua entrata in carica, Giustiniano diede un chiaro segnale della sua risolutezza nelle questioni di politica religiosa facendo chiudere la famosa Accademia di Atene (529). La scuola filosofica neoplatonica [...] in quel momento era ancora vivace in particolare ad Atene e ad Alessandria; specialmente le università dell’Oriente greco costituivano ancora un bastione della spiritualità tradizionale e quindi pagana.” A questo punto “gli insegnanti che ne vennero cacciati si rifugiarono alla corte dell’imperatore persiano e portarono in Persia i frutti della cultura greca. A Bisanzio la vecchia religione era ormai morta, e con questo si chiudeva un’intera epoca di storia umana.” [3] Va poi detto che “nello stesso anno 529 le ambizioni missionarie di Giustiniano sono dimostrate anche da un generale appello a tutti i pagani a convertirsi al Cristianesimo, che negli anni a seguire Giovanni, vescovo di Efeso, cercò di mettere in pratica con roghi di libri e battesimi di massa. Peraltro l’offensiva di Giustiniano contro i pagani non ebbe un successo definitivo, come mostrano i reiterati divieti e le minacce che continuarono a comparire nei decreti imperiali sull’argomento.” J. Irmscher, a proposito del sopraccitato vescovo efesino, ci dice anche che, “appoggiato da un certo numero di sacerdoti e diaconi, secondo quanto egli stesso riferisce, Giovanni portò alla Chiesa 70.000 persone; quindi l’antica fede era ancora assai diffusa.”[4] La presenza di seguaci degli antichi dèi è confermata anche dalle Carte Segrete di Procopio (lo storico del periodo giustinianeo): “Poi [Giustiniano I] spostò la persecuzione su un altro obiettivo, i cosiddetti Elleni, che torturava e derubava. Anche qui, quelli che si decisero a mutare formalmente il loro nome in Cristiani, cercando così di rimuovere il pericolo, dopo un po’ venivano sorpresi di solito a effettuare libagioni, sacrifici e altri riti empi.”
Come si può vedere, il paganesimo era tutt’altro che morto. Ma resistette alle pressioni di Giustiniano I? La risposta è sì. J. Irmscher, ne La Politica Religiosa di Giustiniano Contro i Pagani, scrive: “Ma non era neppure possibile impedire che in territori lontani o di difficile accesso il paganesimo potesse mantenere alcune roccaforti. Così ad esempio i blemmi, che conducevano una vita nomade sulla riva destra del fiume Nilo, osarono ricostruire il tempio di Iside, distrutto in precedenza ed ebbero la possibilità di sopravvivere come pagani fino al periodo arabo [VII secolo].”[5] Il tempio in questione, che sorgeva sull’isola di File, venne fatto chiudere solo nel 560 e riconsacrato come chiesa dedicata alla Madonna[6].
In Occidente, quando i Longobardi giunsero in Italia, è risaputo che essi si convertirono al cristianesimo ortodosso di Roma, e tuttavia le tradizioni pagane continuarono a esistere fin oltre il VII secolo; scrive P. Nobili: “Tracce di paganesimo e di arianesimo, ben più a lungo sopravviventi alla formale abolizione dei culti non cristiani decretata durante il regno di Ariperto I [† 661], persisterebbero tuttavia tenaci, come appare evidente in base a svariate testimonianze del periodo, tra le quali la celebre, citatissima cerimonia della giostra augurale intorno alla pelle di animale appesa all’albero descritta in maniera particolareggiata nella Vita Barbati appare soltanto come la più eclatante. Soprattutto è interessata al fenomeno pagano e soprattutto eretico la frangia più autonoma e tradizionalista della gente longobarda radunata nell’exercitus nazionale degli arimanni che, a imitazione di un costume sorto nell’ultimo periodo goto dopo la morte di Vitige, era solito adunarsi proprio fuori dalle mura di Ticinum [Pavia].” [7] In seguito, l’usurpatore Alachi raccolse sotto di sé le forze pagane, ariane e tricapitoline per muovere contro il legittimo re Cuniperto, che ovviamente era ortodosso; sappiamo quindi che esistevano ancora longobardi che praticavano gli antichi riti nel 689 (data della Battaglia di Coronate): è dunque lecito pensare che alcune tradizioni si siano conservate almeno fino al secolo successivo. A questo va aggiunto che anche nell’attuale Francia sopravvivevano credenze pagane, in quanto nella Vita di Sant’Eligio il vescovo di Noyon (590-660 ca.) dice, durante una predica volta a evangelizzare il popolo: “Che nessuno osi prestar fede o invocare i nomi dei demoni, o di Nettuno, o di Orco, o di Diana, o di Minerva, o di Genisco, o di tali scempiaggini!” [8]
In Oriente ne troviamo traccia anche sotto il regno di Giustiniano II (a cavallo fra il VII e l’VIII secolo): “Le condanne di molti usi e costumi [da parte del Concilio di Costantinopoli IV del 691] a causa della loro origine pagana o in parte per ragioni morali, sono per noi dei documenti molto interessanti sui costumi della vita popolare del tempo. Così veniamo a sapere che si celebravano ancora feste pagane, tra cui anche la festa dei brumalia, in cui donne e uomini giravano per le strade travestiti e mascherati; che durante la vendemmia venivano ancora cantati inni in onore di Dioniso e che alla luna nuova si erigevano dei catafalchi davanti alle case e dei giovani correvano sul fuoco. Queste e molte altre usanze derivate dall’età pagana vengono ora proibite, tra l’altro agli studenti di Costantinopoli viene anche proibito di partecipare a rappresentazioni teatrali.”[9] Non esisteva più l’ellenismo inteso come “paganesimo colto”, ma evidentemente sussistevano tradizioni a livello popolare, e anche piuttosto diffuse e ben lungi dall’estinguersi.
L’antica religione sopravvisse ulteriormente? La risposta è sì. “Vi sono ovviamente altre ‘sacche’ [di paganesimo] e gli evangelizzatori armati di Bisanzio non vi si arrischiarono a volte che molto tardi. Gli abitanti della Laconia isolati nella penisola di Mani, montuosa e arida, ma protetta dalla sua stessa conformazione e ricca per i suoi eccellenti oliveti, non furono convertiti che sotto il regno di Basilio I (IX secolo). È opportuno precisare che non si trattava di slavi come accadeva assai spesso nel Peloponneso d’allora, ma dei discendenti dell’antica popolazione del paese.”[10] Su costoro ci dà poi ulteriori informazioni V. G. Rassias, nel suo Demolish Them!, ed è confermato dallo stesso Irmscher: “804: i Gentili greci di Mesa Mani (Cape Tainaron, Laconia, Grecia) resistono con successo al tentativo di Tarasio, patriarca di Costantinopoli, di convertirli al cristianesimo. Dal 950 al 988: conversione violenta degli ultimi Gentili Greci di Laconia da parte dell’armeno santo Nicone.” Siamo dunque alla fine del X secolo, e sempre in Oriente. In questo periodo va anche menzionata la vicenda dell’imperatore Alessandro, che “era stramazzato, così raccontano le cronache, durante una lunga serie di sacrifici pagani all’Ippodromo - compreso uno al verro, si presume - celebrati per invocare la guarigione dall’impotenza. Spirò due giorni dopo, domenica 6 giugno 913.” [11] Questi atti, comunque, sono da imputare più alla personale pazzia del fratello di Leone VI piuttosto che a una vera devozione alle divinità pagane.
Ma finì allora ogni forma di culto pagano? Ancora una volta la risposta è no, e stavolta a riportaci la conferma è Anna Comnena nell’Alessiade (XI secolo, al tempo della Prima Crociata): “Per questo [gli indovini] adorano Astarte e Astaroth, e presso di loro ha tanta importanza l’immagine dell’astro e l’effige dell’oro di Chobar.” Da questo e da altri passi di Anna possiamo comprendere che anche a Medioevo inoltrato ci fosse gente in Oriente (probabilmente legata alla magia e all’astrologia, che a quanto si sa e, contro ogni aspettativa, non era poca) che adorava gli antichi dèi; parimenti i culti tradizionali (o ciò che ne rimaneva) erano ancora parzialmente vivi nelle campagne e continuarono a esserlo anche nel secolo successivo, tanto che, dice Kazhdan, “nel XII secolo i canonici si lamentavano della diffusione nelle campagne dell’uso di festeggiare Dioniso al tempo delle vendemmia”.
Infine, un ultimo baluardo di paganesimo colto (che definiremmo ellenismo) vede la luce sul finire del XIV secolo a opera di Giorgio Gemisto detto Pletone, filosofo bizantino a capo di una delle più importanti scuole dell’epoca, quella di Mistra. “La sua polemica contro Aristotele aveva anche un significato religioso, in quanto mirava ad abbattere le tre grandi religioni monoteistiche (ebraica, cristiana e maomettana), per instaurare una nuova religione sincretica, fondata sui principi del suo platonismo.” [12]; alla sua morte, nel 1452, lo stesso cardinale Basilio Bessarione, suo allievo, scrisse: “Ho saputo che il nostro comune padre e maestro ha lasciato ogni spoglia terrena ed è salito in cielo […] per unirsi agli dèi dell’Olimpo nel mistico coro di Iacco.” Allo stesso modo, in Occidente, Giulio Sanseverino (detto Pomponio Leto) fondò, nel 1464, l’Accademia Romana, con l’obiettivo di restaurare il paganesimo (a quanto pare i suoi membri festeggiavano il Natale romano il 21 dicembre, e lo stesso fondatore si autoproclamò pontefice massimo); accusati di cospirazione antipapale e di paganesimo, vennero duramente perseguitati.
Ovviamente è impossibile vedere in questi due movimenti umanistici una continuità ininterrotta con l’antico ellenismo di Plotino e Proclo, ma questa riscoperta è senz’altro significativa, in quanto avrebbe influenzato tutta la mistica rinascimentale, riportando in auge una religione che, molto probabilmente, sopravviveva all’epoca unicamente in zone estremamente isolate e più che altro in via superstiziosa.


[1] Codex Theodosianus XVI 10, 12.
[2] G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Einaudi, Torino 1968, p 67.
[3] Ibid.
[4] J. Irmscher, La politica religiosa di Giustiniano contro i Pagani, in P. F. Beatrice (a cura di), L’intolleranza cristiana nei confronti dei Pagani, EDB, Bologna 1990, p. 201.
[5] Ibid., p. 202-203.
[6] H. Belting, Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo, Carocci, Roma 2001, p. 55.
[7] P. Nobili, Tra Tarda Antichità e X secolo. Gli scenari attorno agli affreschi di Castelseprio, supplemento 11 a Porphyra, aprile 2010, p. 8.
[8] T. Braccini, Indagine sull’orco. Miti e storie del divoratore di bambini, Il Mulino, Bologna 2013, p. 50.
[9] G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Einaudi, Torino 1968, pp. 118-119.
[10] P. Chuvin, Cronaca degli ultimi pagani. La scomparsa del paganesimo nell’Impero Romano tra Costantino e Giustiniano, Paideia, Brescia 2009, p. 151.
[11] J. J. Norwich, Bisanzio. Splendore e decadenza di un impero, Il Giornale, Milano 2000, p. 186.
[12] Le Garzantine - Medioevo, voce Pletone.

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