lunedì 25 luglio 2016

Breve storia degli Ebrei dell'Europa Orientale



Ricerca per la presentazione del film Train de Vie durante la Giornata della Memoria 2013 a Gerenzano.

A partire dal IX secolo, molti Ebrei presero a stabilirsi nell’Europa Orientale, in particolare sulle rive del Reno: i discendenti di costoro vennero chiamati in seguito Ashkenaziti o, più semplicemente, Ebrei Orientali (in tedesco Ostjuden); la loro lingua era lo yiddish, derivata dalla fusione storica di ebraico, aramaico e antichi dialetti tedeschi, e oggi ancora largamente diffusa. È importante notare che, nei secoli passati, questi Ebrei Orientali si dividevano in due gruppi: quelli che abitavano in Germania, concentrati nelle città, e quelli che abitavano nei Paesi slavi, per lo più isolati in veri e propri villaggi nelle campagne o in quartieri di grandi centri urbani (shtetlekh, sing. shtetl).
Alla fine dell’Ottocento, nei Paesi slavi, si diffusero idee tradizionaliste e largamente intrise di antisemitismo, esattamente come in Germania. Infatti nell’Impero Russo degli zar, dove le comunità ebraiche erano numerose (circa 5 milioni di persone) ma poco integrate nella società e nella cultura dei Paesi ospitanti, l’antisemitismo era sancito da leggi discriminatorie e ufficialmente tollerato, quando non incoraggiato dalle autorità stesse, che se ne servivano come diversivo per lasciar sfogare il malcontento delle classi subalterne. Di qui la pratica del pogrom (in russo devastazione, saccheggio), ossia di periodiche e impunite violenze contro i beni e le persone degli Ebrei. Se con la Rivoluzione Russa e l’avvento del comunismo queste pratiche vennero ufficialmente bandite, va comunque ricordato che in altri Paesi slavi vi furono anche in seguito eclatanti casi di pogrom (ad esempio quello di Jedwabne in Polonia, nel 1941). Di fatto, comunque, l’URSS era l’unica nazione nella quale gli Ebrei potevano contare di non essere discriminati, o per lo meno che non si attentasse alla loro vita.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Germania nazista riservò un trattamento particolarmente duro e inumano ai popoli slavi, considerati razzialmente inferiori e destinati, nei progetti di Hitler, a una condizione di semischiavitù: tutta l’Europa Orientale doveva diventare una colonia agricola del Grande Reich, ogni traccia di industrializzazione e urbanizzazione doveva essere cancellata, ogni forma di istruzione superiore bandita, le élites dirigenti e gli intellettuali dovevano essere sterminati fisicamente. Circa 6 milioni di civili sovietici e 2 milioni e mezzo di polacchi morirono negli anni dell’occupazione tedesca. Per quanto concerne specificatamente gli Ebrei, nei Paesi slavi furono prima confinati nei ghetti (quello di Varsavia fu teatro, nel 1943, di una disperata insurrezione terminata con un massacro) e discriminati, anche visibilmente, con l’obbligo di portare al braccio una stella gialla; quindi furono deportati in campi di sterminio situati per lo più in località della Polonia e della Germania, dai nomi destinati a restare tristemente famosi (Auschwitz, Buchenwald, Dachau e via dicendo). Fra i 5 e i 6 milioni di Israeliti, provenienti da ogni parte dell’Europa (ma per la maggior parte, come detto, polacchi e russi) morirono nei lager nazisti durante gli anni della guerra.

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