LO
SCIAMANESIMO
Uno sciamano olkhon col suo tamburo. |
Per sciamanesimo (dal tunguso shaman) si intende in genere una serie
di tecniche di tipo magico connesse all’estasi, diffuse (oggi o un tempo) nella
maggior parte delle popolazioni pre-letterate del globo; in tutte le culture
nelle quali è presente, lo sciamano è in genere la figura religiosa più
importante, anche se non è per forza l’unica. Questo insieme di tecniche
consente allo sciamano di viaggiare in forma extracorporea fuori dal mondo
materiale ed entrare così in contatto con gli spiriti, in genere allo scopo di
guarire qualcuno. Questi spiriti possono essere di vario genere, in base alla
cultura: anime di defunti, spiriti della natura, animali totemici, e via
dicendo; alcuni di essi si legano personalmente allo sciamano, fungendo così da
guida e da sostegno durante i viaggi negli altri mondi.
Lo sciamano diventa tale in vari modi,
ma di solito ciò avviene a causa di un trauma che genera la prima estasi (il
caso più classico è una malattia, ma anche il sopravvivere a un evento
catastrofico): il soggetto ha una visione nella quale gli
spiriti smembrano il suo corpo e poi lo ricompongono, donandogli facoltà
soprannaturali, che poi si rivelano essere reali; a quel punto il novello
sciamano viene istruito da uno sciamano più anziano, e spesso riceve una vera e
propria iniziazione pubblica. Non è raro che lo sciamanesimo si trasmetta “per
sangue”, ovvero che il figlio di uno sciamano diventi a sua volta uno sciamano,
ma non è la regola (è presente solo in alcune popolazioni): potenzialmente
chiunque può essere scelto dagli spiriti per acquisire queste facoltà
particolari.
Lo sciamano compie molte attività per la
tribù alla quale appartiene, ma in genere si tratta soprattutto di cure: quando
una persona è ammalata, e dunque l’anima è uscita da corpo, egli vola in cielo
o negli inferi per recuperarla, e permettere così la guarigione; solo lo
sciamano infatti può vedere l’anima degli uomini, e ne conosce la forma e il
destino. Per indursi l’estasi e viaggiare, lo sciamano usa vari metodi, a
seconda della popolazione alla quale appartiene: dall’uso di musica ritmica e
ripetitiva (il tamburo, il sonaglio, ma anche strumenti a corda) all’assunzione
di sostanze psicotrope (peyote, ayahuasca, vari tipi di funghi), più raramente
digiuno e privazione del sonno.
Si è a volte voluto accostare lo
sciamanesimo alla psicopatologia ma, come fa notare Eliade, il malato mentale è
più che altro un mistico mancato, o la scimmiottatura di un mistico, in quanto
la sua esperienza è priva di contenuto religioso anche presso le popolazioni
che possiedono sciamani.
In genere, comunque, si associa lo sciamanesimo alle popolazioni primitive e a luoghi selvaggi; in realtà, dopo la sua riscoperta a opera di accademici come Eliade e Harner, in seno alla religione neopagana molti hanno cominciato a praticarlo anche oggi in ambito cittadino: il fenomeno dello sciamanesimo urbano si basa dunque sulla concezione per la quale le tecniche e l’immaginario propri dello sciamanesimo tradizionale possano essere adattati al quotidiano della vita occidentale. Per fare alcuni esempi, gli animali totemici possono essere quelli che ben si sanno muovere in città (piccioni, ratti, corvi, gatti, cani,…); i grattacieli diventano le scale verso il regno celeste, e le stazioni della metropolitana quelle verso il regno infero; gli spiriti negativi contro i quali lo sciamano combatte non sono più quelli del colera o della carenza di cibo, ma quelli dell’AIDS, del crimine e della povertà.
Il tutto si basa su un assunto antropologico molto semplice: lo sciamano “primitivo” si muove nella foresta come se fosse casa sua, sa dove trovare cibo e acqua, conosce le caratteristiche di piante e animali e, di conseguenza, il linguaggio degli spiriti associati; parimenti, lo sciamano “urbano” sviluppa una gran quantità di competenze per sopravvivere nella sua foresta, ovvero la città, la “natura” nella quale vive e con cui interagisce: per tale ragione egli può, ad esempio, comunicare con gli spiriti dei lampioni e delle automobili. Lo stesso vale ovviamente per le tecniche che usa per indursi l’estasi: meno spesso con l’ausilio di sostanze psicotrope (dalle quali vanno escluse le droghe eccitanti e morfiniche, come la cocaina e l’eroina), il più delle volte con la musica, non quella tradizionale col tamburo, ma quella moderna dei rave e delle discoteche, o del semplice lettore mp3. Lo scopo dello sciamano urbano resta ovviamente quello di aiutare la propria comunità (qualunque essa sia, dalla famiglia al gruppo di amici, all’ambiente lavorativo), spesso guarendo malattie sia psichiche che fisiche.
Il tutto si basa su un assunto antropologico molto semplice: lo sciamano “primitivo” si muove nella foresta come se fosse casa sua, sa dove trovare cibo e acqua, conosce le caratteristiche di piante e animali e, di conseguenza, il linguaggio degli spiriti associati; parimenti, lo sciamano “urbano” sviluppa una gran quantità di competenze per sopravvivere nella sua foresta, ovvero la città, la “natura” nella quale vive e con cui interagisce: per tale ragione egli può, ad esempio, comunicare con gli spiriti dei lampioni e delle automobili. Lo stesso vale ovviamente per le tecniche che usa per indursi l’estasi: meno spesso con l’ausilio di sostanze psicotrope (dalle quali vanno escluse le droghe eccitanti e morfiniche, come la cocaina e l’eroina), il più delle volte con la musica, non quella tradizionale col tamburo, ma quella moderna dei rave e delle discoteche, o del semplice lettore mp3. Lo scopo dello sciamano urbano resta ovviamente quello di aiutare la propria comunità (qualunque essa sia, dalla famiglia al gruppo di amici, all’ambiente lavorativo), spesso guarendo malattie sia psichiche che fisiche.
IL
SEIDHR
Riproduzione di una seduta di seidhr. |
Una delle forme più particolari di
sciamanesimo, testimoniata in epoca storica, è il seidhr delle popolazioni scandinave, di cui abbiamo notizia grazie
alla mitologia e alle saghe epiche medievali: Snorri, nell’Edda, riferisce che quest’arte era nota alla stirpe divina dei
Vani, dai quali, in particolare da Freyja, fu insegnata agli Asi. Odino ne
divenne espertissimo: grazie a essa egli poteva lasciare il corpo in uno stato
di trance simile al sonno o alla
morte, e assumere un altro aspetto; inoltre sapeva accecare, assordare e
atterrire i nemici rendendo le loro armi inoffensive; comandava gli elementi;
parlava con i morti e conosceva le rune, oltre a quei canti magici definiti galdrar. Snorri aggiunge tuttavia che
questa pratica comprende una grande inverecondia, tanto che essa era assai
sconveniente per gli uomini, e per questo fu insegnata alla donne (si è
supposto che potesse avere a che fare con pratiche omosessuali).
Da quanto si deduce dalle fonti, il seidhr appare come una magia estatica,
parallela ai rituali degli sciamani; nei Lokasenna
si fa riferimento all’uso di battere un tamburo (o coperchio), lo strumento che
meglio di ogni altro cattura e riproduce un ritmo, e la percussione ripetuta e
ossessiva stacca l’anima dal mondo circostante e la trasporta altrove. Al
raggiungimento di uno stato di trance
dovevano forse servire anche i funghi che secondo la Saga di Erik il Rosso si trovavano nella cintura di una seidhkona. Assai importanti erano anche
i canti, in genere fatti dagli assistenti.
La magia prodotta dal seidhr ci è testimoniata a volte come
benefica (ad esempio per risanare le ferite o proteggere le persone), più
spesso volta a danneggiare i nemici da lontano inviando degli “emissari” magici
(sendingr), sottolineando la capacità
dei praticanti di abbandonare il corpo e di muoversi attraverso l’anima libera,
spesso in forma animale (è risaputo ad esempio che una ferita inferta
all’animale si ripresenta poi sul corpo del praticante); non solo, ma in alcune
saghe l’anima del seidhmadr si
materializza in un animale mostruoso al fine di combattere i suoi nemici
durante una battaglia. Infine, è noto che i praticanti del seidhr erano abili nella divinazione.
L’ARTE
ORACOLARE
Temi rappresentata come Pizia sul tripode. |
La figura sciamanica per eccellenza,
nella mitologia greca, è quella di Orfeo, che unisce in sé le professioni di
poeta, mago, maestro religioso e datore di oracoli: come certi sciamani
leggendari della Siberia, attira con la musica uccelli e animali; come gli
sciamani di ogni luogo, visita l’oltretomba per recuperare un’anima rubata
(quella della sua amata Euridice); infine, il suo potere sopravvive nella testa
mozzata, che canta e continua a dare oracoli anche molti anni dopo la sua
morte. Legato al dio profetico Apollo, è anche connesso ai misteri estatici di
Dioniso.
Nell’antica Grecia, se da un lato la
pazzia era spesso considerata una maledizione divina, quella che veniva indotta
coscientemente era un mezzo per ottenere ispirazione dagli dèi; Platone
distingueva quattro tipi di furore estatico: quello profetico di Apollo, quello
rituale di Dioniso, quello poetico delle Muse e quello erotico di Afrodite ed
Eros.
L’esempio più tipico del primo tipo è la
Pizia, la sacerdotessa dell’oracolo di Delfi: attraverso l’enthousiasmos il dio entrava in lei e usava la sua voce per
comunicare (è per tale ragione che le profezie delfiche sono sempre in prima
persona, mai in terza, e spesso in versi poetici). La Pizia si autoinduceva la trance: si faceva il bagno nella fonte
Castalia, sedeva sul tripode, bruciava e masticava foglie di alloro, ma non
assumeva nessuna sostanza psicotropa; la teoria per la quale aspirasse dei fumi
dal terreno è stata smentita ormai da decenni. Contrariamente a quanto si
crede, poi, le profezie non avvenivano in segreto, ma spesso la Pizia veniva
posseduta sotto gli occhi di chi aveva richiesto i suoi servigi, il quale
poteva sentire direttamente la voce del dio. Plutarco testimonia però che non
sempre la possessione andava a buon fine: a volte, anziché Apollo, entrava nella
Pizia uno spirito malevolo, che la faceva agitare e persino morire; questo se
non altro ci indica che ancora in epoca tarda (III secolo d.C.) l’estasi era
genuina.
Le figure profetiche non erano però limitate
ai templi: molte persone (detti “pitoni” e “ventriloqui”, ovviamente non nel
senso moderno del termine) praticavano nel privato delle loro case; sappiamo da
Ippocrate che una loro caratteristica, durante la possessione, era il respiro
affannoso, segno che indurrebbe a pensare appunto a un’estasi autoindotta.
IL
MAZZERISMO
Un mazzeru uccide un cane (in un disegno di Jules Stromboni). |
Una delle forme di magia estatica più
particolare e poco conosciuta è il mazzerismo della Corsica (e in minor parte
della Sardegna), dove alcuni individui (chiamati mazzeri, culpadori o sonnambuli in corso, e mazzamortos o voes corros d’attagliu in sardo) vengono considerati in possesso di
facoltà soprannaturali di tipo estatico: in sogno, essi danno la caccia
all’anima di una persona (in forma animale) e, se riescono a ucciderla, quella
muore entro l’anno; se invece viene solo ferita ha un incidente o si ammala, ma
si salva. Si dice inoltre che la notte di tra il 31 luglio e il 1 agosto i
mazzeri di diversi villaggi si riuniscano per combattere fra loro armati con
varie armi (fra cui anche rami di asfodelo), e che il villaggio della fazione
perdente subirà più morti durante l’anno (il rito doveva comunque essere svolto, ancora in epoca recente, in maniera del tutto materiale e festeggiato dall'intero villaggio); sembra comunque che i mazzeri non
abbiano una gerarchia o formino un insieme al di là dei singoli villaggi.
I mazzeri diventano tali per
ereditarietà: questa facoltà è infatti appannaggio di alcune specifiche
famiglie, che provvedono all’iniziazione dei propri membri (in genere ciò si
deve a un’errata forma di battesimo); nel quotidiano, essi sono temuti e
rispettati, per quanto non si comportino in maniera diversa da persone comuni.
I mazzeri infatti non cacciano volontariamente determinate persone, ma si
accorgono solo al momento dell’uccisione che l’animale sognato è in realtà
qualcuno che conoscono: da qui sono derivati gli appellativi di “cacciatori di
anime” e “messaggeri di morte”. Un mazzere può essere esorcizzato con
particolari riti simil-cristiani ma, perdendo il suo dono, muore entro l’anno.
IL
TARANTISMO
Il violinista Luigi Stifani esorcizza una tarantata. |
Uno dei fenomeni estatici più interessanti
è quello del tarantismo pugliese: esso si basa sulla credenza per la quale una
persona può essere pizzicata (morsa)
da uno spirito-ragno (meno spesso un serpente o uno scorpione), detto taranta o
tarantola (il quale, va da sé, non ha una reale correlazione con l’animale, il
cui morso è doloroso ma non velenoso); ciò che ne consegue è che essa è
costretta a ballare, scuotendosi senza potersi fermare, anche fino alla morte.
L’unico modo per salvare la sventurata (il posseduto è spesso una donna) è
tramite l’esorcismo, da effettuarsi con un particolare tipo di musica detto
“tarantella” o “pizzica”, e che consiste nel creare uno spazio circolare nel
quale si fa ballare la vittima contro il ragno stesso, al suono del tamburello
e invocando san Paolo, nemico giurato della tarantola. L’esorcismo si perpetra
per più giorni, richiedendo un grande dispendio di tempo e soldi da parte della
famiglia (e degli esorcisti stessi, che non sono preti, ma semplici contadini
che sanno suonare); e tuttavia, anche una volta che lo spirito se n’è andato,
esso può tornare l’anno dopo, sempre d’estate, o mordere i figli del posseduto:
si parla in questo caso di ri-morso, nel senso sia di “mordere di nuovo” che di
“sentirsi in colpa”.
Spesso è infatti san Paolo stesso,
secondo la credenza, a inviare la tarantola a mordere qualcuno che si è
macchiato di un qualche peccato, in genere di natura sessuale. Non solo:
nell’immaginario popolare a volte il santo e il ragno sono la stessa cosa,
tant’è vero che alcune ballate recitano: “Santu Paulu meu de le tarante /
che pizzichi le caruse ‘nmezz’ all’anche. / Santu Paulu meu de li scorzoni /
che pizzichi li carusi int’i balloni.” Quando la pizzica non è effettuata a scopo d’esorcismo, infatti, essa
è una danza estremamente sensuale, e viene spesso usata per il corteggiamento.
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