ETIMOLOGIA
DI MAGIA
Il termine magos e i suoi derivati sono attestati in greco fin dall’epoca classica, e hanno un’origine chiarissima: la parola proviene dalla Persia, dove i maghi o magi erano dei sacerdoti, o in ogni caso degli specialisti della religione zoroastriana; Erodoto dice che essi avevano la responsabilità dei sacrifici, dei riti funebri, della divinazione e dell’interpretazione dei sogni, e Senofonte li dice esperti in tutto ciò che concerne gli dèi: per tale ragione la loro pratica, detta appunto magia (magheia) venne considerata quella di interazione col divino. Nel corso del tempo, tuttavia, il termine andò a designare anche gli operatori di magia nel mondo romano, spesso con l’accezione di ciarlatani o indovini itineranti, mentre si iniziarono a utilizzare termini specifici per le pratiche più o meno lecite e considerate di un certo spessore sacro (ad esempio le arti divinatorie statali e la teurgia dei filosofi).
Oggigiorno, negli ambienti magici del
mondo anglofono, è invalso l’uso di usare il termine magick piuttosto che magic:
ciò trova la sua origine nel pensiero di Crowley, che vedremo più oltre, il
quale volle distinguere la sua opera magica dalla prestidigitazione, che era
appunto chiamata magic, senza
distinzione alcuna tra realtà e finzione. In ogni caso i due termini restano
ancora oggi interscambiabili.
Spesso tutte le pratiche per così dire
magiche vengono definite anche “esoteriche”, termine derivato dal greco esoterikos, vale a dire “per pochi”
(opposto a essoterico, ovvero “per tutti”). Fu invece Eliphas Lévi a coniare il
termine-ombrello che racchiude quasi tutte le discipline esoteriche, vale a
dire “occultismo”: in questo senso, egli cercava di distinguere la pratica
magica illusoria (quella dei prestigiatori ma anche dei ciarlatani) da uno
studio più attento, razionale e per così dire scientifico dei fenomeni non
manifesti. Per lo stesso Crowley fare magia significava raggiungere gli scopi
della religione attraverso un metodo scientifico.
LA
MAGIA SECONDO GLI ANTROPOLOGI
Differentemente da quanto succede oggi, dove la magia è un sistema di pensiero e pratica studiato in maniera più approfondita e per certi versi rispettosa delle differenze culturali, i primi antropologi la interpretarono come una specie di aberrazione intellettuale tipica dell’uomo primitivo, dovuta a una mancanza di coerenza logica, oppure come una scienza imperfetta.
James
Frazer (1854-1941) la suddivise in due tipologie: imitativa e simpatetica. La
magia imitativa si risolveva nell’idea che, imitando la natura, la si sarebbe
potuta influenzare; la magia simpatetica o contagiosa invece si fonderebbe
sull’idea che due cose, per il fatto di essere state a contatto,
conserverebbero, anche se allontanate, il potere di agire l’una sull’altra. Per
quanto invece concerne lo scopo d’esistenza della magia, Frazer riteneva che
essa fosse il primo stadio del relazionarsi dell’uomo col mondo esterno, cui
sarebbero seguite religione e scienza; come quest’ultima, infatti, la magia si
fonderebbe su un rapporto di causa-effetto meccanicistico, con la differenza
che essa non pone alla base un’esatta rappresentazione dei fatti e delle cause:
le leggi della magia non sarebbero altro che un travisamento di quelle del
pensiero umano, che si vogliono invece associare alla natura esterna. A
differenza della religione poi, dove l’uomo supplica le potenze superiori per
ottenere qualcosa, il mago pretende di avere il controllo su di esse, e di
poterle piegare al proprio volere.
Lucien
Lévy-Bruhl (1857-1939), rivendicando l’autonomia di pensiero dei popoli
“primitivi” rispetto alla mentalità occidentale, teorizzò la “legge di
partecipazione”, che istituisce legami di affinità o identità tra fenomeni
diversi: per questa ragione, nei riti magici, un oggetto che rappresenta
qualcosa viene a coincidere con la cosa reale, all’interno di un sistema di
credenze specifico. Il pensiero magico e quello razionale sarebbero dunque due
modi di percepire e affrontare la realtà, e non devono essere associati a
specifiche fasi storiche, poiché spesso coesistono.
Secondo
Bronislaw Malinowski (1884-1942), invece, a differenza della religione (la
quale deve fornire certezze di fronte ai grandi problemi della vita) e della
scienza (presente in forma elementare presso i primitivi), la magia ha scopi
eminentemente pratici, e si tratta di un mezzo per rispondere a situazioni
generatrici di ansia: essa infatti consiste in una serie di atti sostitutivi,
un possesso primordiale che afferma il potere autonomo dell’uomo di creare dei
fini desiderati, e che mette l’uomo in grado di compiere con fiducia i suoi
compiti importanti, di mantenere il suo equilibrio e, insomma, di ritualizzare
il suo ottimismo.
Infine,
Claude Lévi-Strauss (1908-2009) è stato uno dei pochi a osservare che i
comportamenti magici hanno non solo effetti psicologici, ma anche fisici (ad
esempio, un uomo colpito da un freccia affatturata muore anche se la ferita non
risulterebbe di per sé mortale), e sarebbe proprio l’efficacia biologica della
magia a far spostare l’accento sul significato culturale di tale credenza. La
magia sarebbe per questo composta da tre aspetti tra loro complementari: la
credenza del praticante nell’efficacia della sua opera, la credenza del
paziente o della vittima, e la fiducia della collettività. In sostanza,
l’efficacia della magia si fonderebbe su qualcosa di simile a quello che in
medicina è l’effetto placebo.
LA
MAGIA SECONDO GLI PSICOLOGI
Sigmund Freud (1856-1939) propose un’identificazione tra il pensiero magico e quello nevrotico: in entrambi i casi esisterebbe la confusione tra l’ordine delle idee personali e quelle della natura, e le persone coinvolte sembrano immaginare che il loro pensiero possa controllare e modificare la realtà (la cosiddetta “onnipotenza di pensiero”). Egli analizza poi quello che sarebbe il corretto sviluppo del pensiero umano: anzitutto l’animismo, nel quale l’uomo ascrive a sé l’onnipotenza, poi la religione, dove essa è attribuita agli dèi, e infine la scienza, dove si rinuncia all’onnipotenza del pensiero, e ci si adatta alla realtà.
Di diverso avviso è invece Carl Gustav
Jung (1875-1961): avere una visione del mondo significa creare un’immagine del
mondo e di sé; ogni visione costituisce un’ipotesi, e non un articolo di fede,
dunque condanna il pensiero freudiano per il suo esclusivismo occidentale. La
psicologia analitica cerca dunque di scavare nell’inconscio collettivo per
trarne le immagini e gli archetipi dell’esperienza di milioni di anni, che
l’intelletto razionale ha rimosso: per tale ragione l’analisi del pensiero
magico permette di riscoprire la psicologia arcaica, tra i cui archetipi c’è
ovviamente quello del mago, oggi identificabile con lo scienziato.
LA
MAGIA SECONDO GLI STORICI DELLE RELIGIONI
Forse il primo a pronunciarsi sulla magia, tra gli studiosi delle religioni, fu Marcel Mauss (1872-1950): per lui, essa non sarebbe altro che una “scienza prima della scienza”, costituita da ogni rito che in una società non fa parte dei culti organizzati. Critica inoltre l’interpretazione di Frazer, asserendo che non è sempre vero che il sacerdote supplica le potenze ultraterrene, mentre il mago le costringe: accade infatti anche che sia il rito religioso a essere improntato sulla costrizione, mentre quello magico prevede anche l’intervento volontario di dèi o spiriti senza che il mago abbia operato un qualche vincolo su di loro (come ad esempio nello sciamanesimo).
Secondo Ernesto De Martino (1908-1965), il
pensiero magico è un primo tentativo coerente di affermare la presenza umana
nel mondo; questa “presenza” non è l’ansia di cui parla Malinowski, ma una
condizione che l’essere umano non cessa di costruire per sottrarsi all’idea,
angosciosa, di non-esserci. Il mago è la figura centrale di questo drammatico
tentativo di superare l’annientamento, tentativo che coincide con
l’affermazione del mondo magico come spazio di pensiero e di azione in cui
l’uomo realizza la propria volontà di esserci, sebbene questa presenza possa
essere sempre rimessa in discussione dalla crisi individuale o collettiva (crisi
della presenza).
Di diverso avviso è invece Mircea Eliade
(1907-1986) che, pur non parlando specificatamente della magia, ribatteva a De
Martino che la realtà di ogni credenza culturale e religiosa non può essere
ascritta al solo pensiero umano di un dato periodo storico: ad esempio le
tecniche mistiche dello yoga si sono sviluppate ininterrotte nel corso di
millenni, e continuano ad avere una certa realtà e validità nonostante il
cambio della mentalità, e lo stesso dovrebbe dirsi delle interazioni col
soprannaturale in generale. Eliade critica inoltre le posizioni degli storici e
degli antropologi suoi predecessori, per i quali ad esempio l’alchimia era una
chimica imperfetta senza rilievo culturale, i testi di yoga erano giudicati
privi di senso e opera di fachiri oscurantisti, i grimori medievali gli scritti
di negromanti affetti da psicopatologie, le pratiche sciamaniche fenomeni di
psicopatia, e la stregoneria una mera invenzione della Chiesa; viceversa, gli
studi più recenti e le scoperte archeologiche (come i rotoli del Mar Morto e di
Nag Hammadi) avevano dimostrato la complessità, il rigore e il ricco
significato delle pratiche esoteriche, nonché l’importante influenza che esse
hanno avuto nella storia occidentale.
LA
MAGIA SECONDO I MAGHI
Presso i maghi moderni la definizione di magia tende a tornare sempre a quella che aveva dato Aleister Crowley (1875-1947) il secolo scorso, che era: “La magia è l’arte di provocare cambiamenti nella realtà che siano conformi alla volontà.” È una definizione di magia molto ampia, che finisce anche a toccare delle cose che normalmente non verrebbero considerate magia: lo stesso autore, un po’ per scherzo e un po’ parlando seriamente, diceva che un atto di magia è soffiarsi il naso, perché si sta modificando la realtà in maniera conforme alla propria volontà. La magia è dunque l’utilizzare forze o presenze (che normalmente non vengono considerate da quella che per noi è la scienza) per provocare effetti che a volte sono provocabili anche in altri modi, e altre invece non sembrerebbero provocabili in modi diversi dall’uso di forze sconosciute ai più (tale definizione nasce ovviamente nell’epoca in cui magia e scienza si erano già divise). Per fare un esempio, nel Medioevo utilizzare l’elettricità sarebbe stata vista come una magia; magari in futuro, dicono gli occultisti, manipolare le probabilità coi sigilli non verrà considerata magia, ma scienza, perché si sarà capito come ciò funziona a livello scientifico, esattamente come si è capito come funziona l’elettricità.
I maghi vedono spesso la loro pratica
come un’arte, piuttosto che come un’operazione tecnica: nell’ambiente wiccano,
ad esempio, viene definita magia quell’insieme di riti che stimolano
l’attenzione nei confronti di aspetti nascosti della realtà e risvegliano
poteri dimenticati dalla mente umana; si dice anche che la magia è una scienza
e un’arte volta a produrre cambiamenti nel mondo fisico utilizzando energie
mentali unite alla divina forza dell’universo, orientandole per conseguire un
fine particolare. Alan Moore (*1953) ha recentemente detto che bisognerebbe
concepire la magia più in termini di realizzazione artistica che di operazione
tecnica, altrimenti il rischio, per i praticanti, è quello di essere al tempo
stesso superficiali e poco interessanti: lo scopo è dunque quello di creare
esecuzioni reali, come lo è ogni forma d’arte, che al tempo stesso possano
manifestare concretamente il divino nella vita di tutti i giorni.
LA
MAGIA OGGI
A partire dall’Illuminismo la magia iniziò a essere vista come una pratica vana, un insieme di credenze e superstizioni senza alcuna base scientifica, e dunque falso; questa concezione è andata sempre più incrementandosi nel corso del tempo, tant’è vero che essa è stata relegata ai teatri (gli spettacoli di prestidigitazione) e all’intrattenimento per ragazzi.
Nonostante questo, quella che i
praticanti chiamano “vera magia”, ovvero quell’insieme di tradizioni antiche,
continua a esistere lontano dagli occhi dei media (oggi con rinnovato vigore,
come vedremo), e ha scuole di pensiero e pratiche tutte sue, ben diverse dai
giochi di prestigio o da cartomanti e maghi televisivi che si dedicano alle
truffe.
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