LA
NEGROMANZIA
Per “negromanzia” (dal greco nekros, morto, e manteia, divinazione) si intendeva in origine, come visto, l’arte
di comprendere il futuro attraverso l’evocazione dei morti; nel Medioevo però,
dato che si pensava che le anime appartenessero solo a Dio, e che dunque gli
spiriti evocati dai maghi non potessero essere altro che demoni, il termine
andò a indicare la magia ritualistica di tipo evocatorio. Il mago
dell’immaginario popolare trae dunque origine dalla figura dei negromanti
medievali: essi, per la maggior parte uomini di Chiesa (che sapevano leggere e
avevano più tempo libero rispetto a una persona comune), imparavano dai libri numerose
forme di magia e, secondo gli inquisitori, promettevano obbedienza ai demoni e
si consacravano a loro; nell’esercizio dell’arte magica praticavano ogni genere
di ascetismo: digiunavano, si lavavano, si rasavo, si mantenevano casti e si
vestivano di nero o di bianco (secondo alcuni per attirare i demoni, secondo
altri per proteggersi). Alcuni libri di negromanzia sono giunti fino a noi,
come il Manuale di Monaco tedesco, il
Libro di Oberon inglese, il Liber Juratus francese, la Chiave di Salomone italiano e il Libro del Comando dello pseudo-Agrippa;
parimenti, sebbene la maggior parte dei negromanti fossero anonimi, alcuni
divennero celebri soprattutto nel Rinascimento, come John Dee (1527-1608) e il
già citato Cornelio Agrippa (1486-1535).
In generale, gli scopi di questa magia
rituale rientrano in tre categorie principali: influire sul corpo e sulla volontà
altrui, creare illusioni, e discernere le cose segrete, passate, presenti e
future. Le tecniche negromantiche possono essere molto complesse, ma si basano
su pochi elementi principali: cerchi magici, scongiuri e sacrifici. Il cerchio
si può tracciare a terra con un pugnale o una spada, o disegnare su una
pergamena o un panno; a volte è semplice, poco più di una forma geometrica,
altre molto complicato, con all’interno scritte e simboli di vario genere, siti
per gli oggetti magici (spade, scettri, coppe, amuleti e altro) e un posto per
il negromante stesso; persino i vari materiali vengono a volte specificati (ad
esempio sangue di gatto, upupa o pipistrello per le scritte, pergamena vergine
o pelle di leone per il piano su cui tracciare,…), e questo perché uno stesso
cerchio può avere effetti diversi in base al materiale utilizzato nel crearlo. Lo
scongiuro è la principale componente orale dell’atto magico: esso si impernia
su un verbo di comando, come “io vi ordino” o “io vi impongo” di apparire e
obbedire; in genere esso riprende parti dei salmi o delle preghiere cristiane,
e su alcuni libri è detto di inginocchiarsi a mani giunte e col volto al cielo,
e di ripeterlo un dato numero di volte. Importante era anche il sacrificio: in
genere si trattava di animali, ed era credenza diffusa che i demoni fossero
attirati dal sangue, specialmente da quello umano, tanto che i negromanti
sacrificavano anche parti di cadaveri o di sé stessi.
Si può in genere ritenere che questa
forma di magia medievale derivi in parte dalla tradizione pagana tardoantica
(soprattutto quella astrale e goetica), e in parte da quella esorcistica
giudeo-cristiana: i rituali infatti hanno sempre, come visto, uno sfondo
cristiano, e i vari manuali spiegano quando devono essere officiati (il sabato
prima dell’alba con la luna calante, il giovedì con la luna crescente, e via
dicendo); lo stesso confine tra spiriti astrali o elementali e angeli caduti è
piuttosto confuso, e i negromanti si appellano ora agli uni, ora agli altri. In
effetti, il più delle volte i negromanti sono espliciti riguardo i nomi di
coloro che vogliono chiamare, non solo Satana ma anche demoni con nomi e
attributi specifici; dato che la negromanzia è comunque una commistione di
cristianesimo e paganesimo, non è sorprendente trovare di quando in quando una
certa ambiguità riguardo gli spiriti invocati: alcune fonti parlano di “spiriti
neutri”, vuoi astrali o elementali, altre di esseri che sono “fra il bene e il male, né all’Inferno né in
Paradiso”.
Per quanto riguarda invece l’aspetto
esorcistico, alcuni testi parlano di questi maghi come di esorcisti, poiché le
formule utilizzate sono tutto sommato le stesse dei sacerdoti cristiani: la
differenza, ovviamente, sta nel fatto che i secondi li costringono ad
andarsene, i primi a sottomettersi al loro volere. Dice ad esempio il Manuale di Monaco: “Io ti comando, demone malvagio, per il potere del Signore, e ti ordino
nel nome dell’Agnello immacolato […] che
tu esegua subito ciò che ti comanderò. […] Colui che nacque da una vergine ti comanda. Gesù di Nazareth, il quale
ti ha creato, ti comanda di adempiere subito a tutto ciò che ti chiedo, a tutto
ciò che voglio avere o sapere.” In effetti, l’atteggiamento dei negromanti
davanti a Dio era diverso da quello che avevano nei confronti dei demoni: essi
si presentano come umili e indegni supplici davanti al Signore, implorando il
suo aiuto per ottenere potere sugli spiriti.
LA
CABALA
L'albero sefirotico della cabala. |
La cabala (in ebraico qabbalah, “ricezione”) è la tradizione
segreta del misticismo giudaico, nata in Europa tra XII e XIII secolo, e che si
richiama alle concezioni tardoantiche e altomedievali dell’energia divina e del
cosmo, di come essi si rapportino all’uomo, e di come ogni parte del creato
risponde a un’armonia segreta. Questo studio è comunque molto ristretto:
improntato sul rapporto maestro-allievo, quest’ultimo dev’essere sempre un uomo
maturo e di alta moralità; aveva inoltre una forte componente orale, e le parti
scritte sono comunque ricche di simbolismi che non possono essere decifrati da
un profano.
La Bibbia
divenne il centro dello studio cabalistico: nel corso dei secoli, ogni parola e
ogni episodio della Scrittura vennero infatti arricchiti da significati ulteriori
poiché, nel testo antico, si cercava l’espressione assoluta e valida per ogni
epoca della vicenda interiore dell’uomo, della struttura del creato e della
storia del popolo ebraico: la Genesi
e l’Esodo, ad esempio, divennero il
modello attraverso cui esprimere ogni esperienza ed emozione, e i personaggi
biblici assursero a paradigma dei moti dell’animo umano (Abramo la
misericordia, Isacco il timore, e così via). Oltre a questo, l’analisi
letterale della Bibbia da parte dei
maestri portò alla decostruzione e ricostruzione del testo con un altro
significato, quello appunto ritenuto segreto (in base soprattutto alle
assonanze linguistiche, all’etimologia e alla numerologia): il risultato fu la
trasformazione della Scrittura in un testo atemporale. Altri elementi si
aggiunsero poi alla speculazione cabalistica: testi come il Sefer Yeshira aggiunsero la concezione
di forze mistiche non menzionate nella Bibbia,
e altri come gli Hekalot svilupparono
l’angelologia e il concetto di ascesa dell’anima, mentre dal neoplatonismo si
integrarono il lessico e concezioni come quella di emanazione. Nel Rinascimento
anche i Cristiani iniziarono a praticare la cabala, cercando nei suoi metodi
conferme alla loro fede: fondatori di questa branca furono Pico della
Mirandola, ma soprattutto Johannes Reuchlin (1455-1522), col suo De Arte Cabalistica del 1517.
Le dieci sefirot, il cui simbolo (l’albero sefirotico) è diventato l’emblema
della cabala, ne sono anche il centro del pensiero: ogni sefirah è un grado in cui Dio agisce sul creato (spesso accostato
al modo in cui si irradia la luce), ed esse sono unite da Dio, ma separate
dalla comprensione limitata dell’uomo. Vengono suddivise in vari modi, da scuola
a scuola, ma il loro significato è univoco: esse sono, partendo dal basso, malkut (regno), yesod (fondamento), hod
(splendore), netzach (eternità), tif’eret (bellezza), gevurah (severità), chased (gentilezza), binah
(comprensione), chokhmah (saggezza) e
keter (corona). Il processo di
emanazione viene distinto in fasi successive, per denotare la distanza che
separa il mondo supero da quello materiale; esisterebbero così quattro mondi
(che rappresentano anche la progressione dell’esperienza umana): ashilut (l’emanazione), beri’ah (la creazione), yeshira (la formazione) e ‘ashiyya (la realizzazione), e questi
diversi nomi indicano la trasformazione del tipo di influsso con cui le sefirot governano il cosmo (immateriale
in ashilut, il più vicino al
Creatore, e via via con mezzi sempre più concreti negli altri).
La convinzione che la lingua ebraica sia
la chiave interpretativa della realtà non influenzò solo la filosofia e la
meditazione, ma anche la magia vera e propria (la cosiddetta “cabala pratica”),
volta a ottenere, tramite azioni e formule, guarigioni, beni materiali o
protezione dai pericoli (e creando non pochi problemi teologici, in quanto
questi riti riuscirebbero in qualche modo a influenzare Dio stesso). Secondo la
tradizione, i riti utilizzano in gran parte i nomi divini, in quanto
depositari, nella loro stessa materia verbale, di una forza soprannaturale; in
realtà le raccolte di refu’ot
(medicamenti) e segullot
(incantesimi) cabalistici non mostrano aspetti particolarmente innovativi
rispetto al patrimonio magico dell’ebraismo antico (se non per cose specifiche
come il famoso golem, un essere
animato artificialmente dalla potenza del tetragramma). Viceversa, l’applicazione
della cabala all’alchimia ebbe molta più fortuna: le forze che attraggono e
respingono i metalli sarebbero l’immagine di una struttura ultramondana, nella
quale le energie divine sono sottoposte a un’incessante mutazione che le
compone e le separa in base al principio etico di bene e male; dunque le scorie
dei metalli rappresentano la parte malvagia, e occorre purificarle per ottenere
la purezza dell’oro.
LA
MAGIA ISLAMICA
Rappresentazione di alcuni jinn. |
Nel mondo islamico la magia non è
necessariamente malvagia, in quanto esiste quella insegnata dai demoni e quella
donata da Dio agli uomini: in questo secondo caso si tratta in genere di
formule di protezione tratte dal Corano
(soprattutto le sure 20, 21 e 91), scritte su pergamena e chiuse in astucci a
base esagonale da portare addosso (ma sono comuni anche quelli a forma di
animale o di mano). Durante il Medioevo si svilupparono due diverse scuole di
magia: quella dei Paesi mediterranei, influenzata dalle antiche concezioni babilonesi,
egizie e greche, e quella del Medio Oriente, più influenzata da concezioni
indiane, cinesi e sciamaniche. A conti fatti, nel mondo arabo si ripeté la
stessa dicotomia europea: da un lato una magia rituale simile alla negromanzia
cristiana, ma ovviamente in versione islamica (il manuale più famoso su di essa
è il Picatrix, giunto poi in Europa
in traduzione latina), e dall’altra una mistica estatica di stampo sciamanico,
quella del sufismo (che venne però in genere vista meglio rispetto alla
stregoneria).
Buona parte della magia islamica si basa
su numeri, lettere e nomi: per i numeri, valgono bene o male le stesse
concezioni della cabala ebraica, probabilmente perché influenzata dalla stessa;
le lettere vennero invece divise in quattro categorie, corrispondenti agli
elementi, e dunque parole scritte con lettere associate al fuoco possono servire
per proteggere dalle malattie o per dare vigore in battaglia; conoscere i nomi
può parimenti servire a piegare le potenze invisibili al proprio volere (spesso
si trattava di jinn, altre volte di
angeli). Nella pratica, tutto questo era usato spesso per la creazione di
amuleti basati sulla forma quadrata (o su forme derivate dal quadrato, come il
rombo, la croce,…), detti jadwai, i
quali sono ritenuti legittimi poiché la loro creazione è basata sul precetto
coranico per il quale “noi vi inviamo nel
Corano ciò che è guarigione e misericordia per i credenti” (sura 17), che
di fatto rendeva la scrittura magica (kitaba)
un dono di Dio ai Musulmani.
Per quanto riguarda la divinazione, il
metodo più celebre sono i due tipi di qur’a.
Il primo e più semplice, il qur’at al tuiur,
consta di una pagina con due cerchi divisi in settori, ciascuno contenente
lettere, numeri e il nome di un pianeta o di una costellazione; segue un’altra
pagina con quattro cerchi, divisi allo stesso modo, e poi ancora pagine divise
in varie case, sino all’ultima, in cui 36 case danno la risposta finale: si
trova a caso un numero (con morra, dadi, bastoncini,…), e si capita così su una
lettera o costellazione della prima pagina, che rimanda a sua volta alla
seconda, e poi alla terza fino alla conclusione e alla risposta finale. Il
secondo e più complesso, il qur’at al
anbia, prevede la tripla recitazione della fatiha (la prima sura del Corano),
poi a occhi chiusi si pone il dito sulla scacchiera della prima pagina, che
rimanda alle successive, e poi a uno dei sette cieli dei profeti dell’islam
(Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Davide, Gesù e Maometto), ognuno con un suo
significato, per arrivare poi alle case finali, contenenti un brano del Corano che rappresenta la risposta alla
domanda fatta.
Occorre infine notare che, per quanto riguarda le invocazioni e le
costrizioni demoniache, esse si rivolgono come detto ai jinn (tradotto in italiano con “geni”): essi non sono demoni
(ovvero gli angeli caduti che seguirono Iblis nella sua ribellione), ma una
terza razza di creature (assieme appunto ad angeli e uomini) che Dio creò
all’inizio dei tempi; dotati di grandi facoltà soprannaturali, sono per lo più
avversi agli esseri umani, sebbene alcuni di loro si siano convertiti all’islam
e possano essere invocati per aiuto e protezione. La tradizione islamica vede
re Salomone come il più grande mago in grado di comandare i jinn, e nel Medioevo questo immaginario
si diffuse anche in Europa.