Gli dèi sovrani degli Indoeuropei
Premetto
che questo articolo (che mi piacerebbe sviluppare ulteriormente in futuro) parte dalla mia
adesione alla teoria, elaborata il secolo scorso dallo storico delle religioni
Georges Dumézil, per la quale in tutti i pantheon delle varie popolazioni
indoeuropee (Indiani, Persiani, Greci, Romani, Italici, Germani, Celti, Sciti e
Slavi) sarebbe riscontrabile una divisione in tre funzioni sociali che, pur con
le debite differenze dovute alla specifica cultura, all’evoluzione temporale e
alle influenze esterne, si mantiene sempre uguale e rispecchia in buona teoria
la primitiva struttura sociale indoeuropea. Essa viene ben spiegata nel libro L’ideologia tripartita degli Indoeuropei
(1958, in Italia edito da Il Cerchio), che per chiarezza vedrò ora di
riassumere.
Alla
sommità della gerarchia stanno due figure sovrane: il re legislatore (colui che
crea le leggi, amministra la giustizia e si fa garante dei patti) e il re
sacerdote (colui che conosce le arti magiche, officia i sacrifici e si fa
garante della benevolenza delle forze invisibili). Sotto di loro sta la figura
guerresca (che può essere sia l’archetipo del guerriero onorevole e ponderato
che di quello furioso e brutale), il cui compito è quello di difendere il mondo
dalle forze del caos, e che in genere è connesso a storie di colpa e
redenzione. Infine vi è una figura (spesso anche una coppia di figure) di tipo
produttivo, che presiede alla fertilità non solo della terra, ma anche a quella
dell’uomo e alla sua salute, oltre che a ogni attività lavorativa. In India
questa divisione (la stessa delle caste) la riscontriamo bene negli dèi vedici
(Mitra e Varuna - Indra - gli Ashvina), ma anche nei Pandhava del Mahabharata (Yudishthira - Arjuna/Bhima
- Nakula e Sahadeva); in Scandinavia la vediamo con Odino e Tyr - Thor - Freyr (e
Njordhr); nella Roma arcaica la ritroviamo sia nel pantheon vero e proprio
(Giove e Fidius - Marte - Quirino) che nella leggenda dei re precedenti a
quelli etruschi (Romolo e Numa Pompilio - Tullo Ostilio - Anco Marcio). Vi
rimando direttamente agli scritti di Dumézil per delucidazioni a riguardo.
Come
però si sarà notato, negli esempi di cui sopra non compare la Grecia: essa è sempre stata, per la
divisione trifunzionale, un vero cruccio, poiché la religione ellenica si è sin
da subito mescolata a quella minoica e a quella semitica, tanto da non
rientrare (almeno a una prima osservazione) nello schema. Lo stesso Dumézil non
se ne è mai realmente occupato, preferendo sviluppare il suo discorso sui
popoli summenzionati (oltre che su Sciti e Persiani): in Grecia, faceva notare,
si possono trovare solo deboli accenni a tutto ciò, come il giudizio di Paride,
dove la dea regina gli offre la sovranità, la dea guerriera l’invincibilità, e
la dea produttiva una sposa. In generale, secondo il suo allievo Sergent, le regioni centrali
e montagnose del Peloponneso (come l’Arcadia) avrebbero meglio conservato i
miti della popolazione originaria: il suddetto giudizio trova infatti lì la sua
origine[1].
La
mia intenzione sarebbe allora quella di trovare non l’intera trifunzionalità
originaria, quanto gli dèi greci che sovrintendono alla prima funzione, quella
regale, cercando di dividere le derivazioni semitiche e minoiche da quelle
indoeuropee tramite, appunto, un lavoro di comparazione.
Zeus: re, mago e ingannatore
Nel
mondo greco, la sovranità di Zeus è pressoché indiscussa: egli non solo è,
mitologicamente, il re degli dèi, ma è anche il dio dei re umani, tanto che,
parlando di lui, Callimaco dice: “Tu
scegliesti chi regge le città, al cui comando è l’uomo della terra, e l’esperto
di lancia, e il rematore, e ogni altro uomo. Cosa può sfuggire a chi ha potere?
E noi cantiamo […] ‘i re da Zeus’, perché
nulla è più divino dei re di Zeus. E tu li aggiudicasti a te per questo, e assegnasti
loro città in custodia, e in alto sulle rocche delle città sedesti a vigilare
su chi comanda con oblique leggi e su chi fa il contrario. E li colmasti di
opulenza e fortuna.”[2] E dunque, di primo acchito, verrebbe da pensare che in una
struttura trifunzionale Zeus debba essere il re legislatore; tuttavia Dumézil
fa notare come, nella Roma arcaica e prima della scomparsa del dio Fidius,
Giove fosse il re sacerdote. Dunque si tratta di un cambiamento sostanziale
prettamente greco?
I
“colleghi” di prima funzione di Zeus, nelle altre mitologie indoeuropee, sono
l’indiano Varuna (il dio che coi suoi incantesimi lega il mondo), il germanico
Odino (che possiede l’onniscienza, che assume molteplici forme e spesso viaggia
fra gli uomini come mendicante), e il celtico Lugh (anche lui in grado di fare
incantesimi, patrono delle arti, delle leggi e dei patti); tutti essi sono,
conformemente alla tradizione indoeuropea, connessi alla sfera celeste (ma non
necessariamente alla folgore), e presentano aspetti che in storia delle
religioni verrebbero definiti “da trickester”,
ovvero da ingannatori.
Nel
pantheon greco, se si pensa al trickster
verrebbe subito in mente Ermes: in realtà, a una più attenta osservazione, si
dovrebbe notare come i miti su Ermes siano piuttosto scarsi, e sì, egli ha
sicuramente questa funzione, ma appare più simile a dèi come Loki, ingannatori
mitologici il cui culto non era però connesso con questa loro funzione. È una
figura interessante su cui occorrerebbe indagare di più, cionondimeno resta il
fatto che è proprio Zeus, e non Ermes, a detenere il record di inganni
all’interno del pantheon olimpico.
La
nascita del re degli dèi comincia con un inganno (perpetrato da Rea ai danni di
Crono per salvare il figlio), continua con il ritorno di Zeus vestito da
coppiere che fa bere con l’inganno una pozione al padre, e prosegue con un gran
numero di vicende dove il dio aggira gli ostacoli (spesso per accoppiarsi con
mortali o per nascondere costoro dalle gelosie di Era) ricorrendo a capacità
metamorfiche, un elemento tipico della figura del trickster (che di contro Ermes non usa mai, e pochissimo anche
altri gli dèi). Quando Danae è rinchiusa senza possibilità di accesso, si
trasforma in acqua per raggiungerla; quando Io sta per essere scoperta, viene
mutata in mucca; la stessa Era viene avvicinata per la prima volta dal fratello
in forma di cuculo, che si poggia sul suo grembo; ed è sempre lui che si aggira
come un mendicante di casa in casa, chiedendo ospitalità: l’inganno e la
metamorfosi sono connaturate in Zeus molto più che in qualunque altra divinità
greca.
L’immagine
del dio supremo onnipotente, regale e legislatore, deriva con più probabilità
dal mondo semitico, dove dal proprio trono celeste il dio creatore aveva
formato il mondo e lo osserva ozioso; questa immagine, non così distante dalla
figura dello Zeus religioso, stride invece molto con lo Zeus mitologico, che sembra
quasi essere un giovane re nel pieno delle sue forze, con atteggiamenti
tirannici e sbruffoni, ma che nel contempo (esattamente come Varuna e Odino) è
interprete della volontà del fato o fato egli stesso: non è dunque un caso se è
stato più volte osservato che lo Zeus dell’Iliade
non è lo stesso dell’Odissea.
Ma
perché un re dovrebbe essere anche un imbroglione? Per rispondere a questo
credo occorra riferirsi alla primitiva società indoeuropea, quella di un popolo
di cacciatori e raccoglitori nomadi, ben diversa da quella delle popolazioni
stanziali della Mezzaluna Fertile. Per questi ultimi, infatti, il sovrano era
il padrone della terra, e come la terra era stabile, inamovibile e
irraggiungibile nella sua semi-divinità; viceversa, per un popolo di razziatori
il re doveva essere un ottimo stratega, un personaggio astuto e un buon
imbroglione, di modo da garantire il benessere della sua gente contro le
imprevedibili avversità del mondo (e a maggior ragione era un trickster il re sacerdote, che aveva a
che fare con l’invisibile). Questa dicotomia pare quasi ripresentarsi nel mondo
imperiale romano, dove fra gli imperatori si avvicendavano la figura del princeps rei publicae tipicamente romano
(il sovrano che camminava fra i suoi sudditi) e del dominus et deus orientale (il sovrano statuario adorato dal popolo
come un dio).
Apollo: re, legislatore e purificatore
Ma
se dunque Zeus ha ereditato dal mondo semitico la sua qualità legislatrice, chi
era in origine a detenere questa funzione nel primitivo pantheon greco, poi
evidentemente perdendola (la decadenza del re legislatore a scapito di quello
sacerdotale sembra essere un processo comune a tutto il mondo indoeuropeo[3])?
A
pensarlo nella sua forma classica ed ellenistica, Apollo apparirebbe (in
contesto trifunzionale) come un dio produttore, patrono della salute, difensore
dei raccolti (in quanto protettore dalla piaga dei topi), nonché gemello di
Artemide. Eppure, come fa notare Burkert, tutte queste caratteristiche non
dovrebbero appartenere all’Apollo originario, ma a un dio semitico col quale si
sarebbe “fuso”, vale a dire Reshep della Freccia, il signore della pestilenza,
che col suo arco dona vita e morte, e controlla ogni genere di piaga; nello
stesso santuario di Delo Apollo non era inizialmente equiparato ad Artemide: il
tempio apparteneva anzitutto a lei, e il dio era più che altro il suo paredro
(fratello o sposo, non sappiamo) con un tempietto minore[4]. Uno
dei suoi epiteti più famosi, poi, è Licio, e a tal proposito dice Cassola: “Altri obiettano che lukeios, lukios significano
‘dio del lupo’ e non ‘licio’ il che è esatto per il primo epiteto, ma non per
il secondo; comunque Omero non usa né l’uno né l’altro, bensì il termine più
esplicito di lukegenes, nato in Licia (Il. IV 101, 119). Si
dovrebbe dunque supporre che i rapsodi abbiano frainteso un epiteto trasparente
come lukeios, e da questa
tradizione sia nata la tradizione dell’Apollo Licio: ma ciò sembra difficile.”[5] Eppure, come fa notare sempre Burkert, nel mondo
ittita non si è trovato nessun nome riconducibile ad Apollon (o alla sua
versione dorica e preomerica, Apellon): a me dunque sembra invece molto più probabile
un fraintendimento rapsodico, ma questa resta purtroppo una mera ipotesi.
Mi
vorrei soffermare allora sull’epiteto “lupesco” di Apollo, e ricollegarlo a
un’altra figura greca, non mitica ma leggendaria, ovvero Licurgo (letteralmente
“cacciatore di lupi”), il celebre legislatore spartano, di cui Plutarco dice: “Elaborato dunque questo progetto [di
riforma delle leggi], si recò dapprima a
Delfi e, dopo aver compiuto un sacrificio e consultato l’oracolo, tornò recando
quel famosissimo responso nel quale la Pizia lo chiamava ‘caro agli dèi’ e
‘dio, più che uomo’ e, a lui che richiedeva una legislazione giusta, disse che
il dio [Apollo] concedeva e
assicurava un ordinamento politico che sarebbe stato di gran lunga il migliore
di tutti gli altri.” [6] Il suo provvedimento più
importante fu l’istituzione delle Apellai, “gli
annuali raduni dei clan delle tribù o delle famiglie, di cui si hanno
testimonianze a Delfi e in Laconia […] In
tale occasione una delle cerimonie più importanti era l’accettazione dei nuovi
membri, dei giovani giunti all’età adulta: le apéllai sono necessariamente
anche una festa di iniziazione. E infatti Apellon [Apollo] è l’efebo sulla soglia dell’età adulta,
ancora con lunghi capelli da ragazzo.”[7]
Il
termine “Apellai”, dice sempre Burkert, è dunque difficilmente separabile
Apellon: abbiamo quindi un legislatore (il cui nome è connesso al lupo), che si
reca presso l’oracolo di un dio (sempre connesso al lupo), e su suo permesso e
garanzia istituisce delle assemblee col suo stesso nome, dove si stringono
patti e alleanze, si amministra la giustizia tra clan, ma si iniziano anche i
nuovi membri della società (o per meglio dire, dell’aristocrazia). Si è sempre
supposto che dietro Licurgo si potesse nascondere, più che un reale personaggio
storico, un eroe eponimo o un dio dimenticato: visto quanto detto, non posso
non pensare che si tratti di una scissione dell’Apollo originario, che qui
appare strettamente connesso alle interazioni sociali. E sul lupo ritorneremo.
Infine,
se la sua potestà medica è un retaggio semitico, non dovrebbe esserlo quello
della purificazione: Apollo non è solo il dio che guarisce, ma anche colui che
monda l’uomo dalle colpe di cui si è macchiato, atto che solo un sovrano può
compiere. “Si tratta di scoprire quale
atto ha provocato la ‘contaminazione’ e di eliminare il miasma attraverso un nuovo atto. Ma, per far
questo, è necessario un sapere sovrumano: il dio delle purificazioni deve
essere al contempo dio degli oracoli. […] Grazie alle prescrizioni cultuali, emanate da Delfi, divennero per la
prima volta visibili presso i Greci il contorno di una morale universale, al di
là di tradizioni e interessi di gruppo.”[8] Ecco
dunque che Apollo diventa l’interprete della volontà di Zeus, l’ammonitore
delle profanazioni di Achille e il purificato stesso, quando compie atti come
l’uccisione dei Ciclopi o di Pitone (quest’ultimo un mito probabilmente mutuato
dal Marduk babilonese, ma come abbiamo visto la commistione di elementi è
sempre presente). La stessa capacità oracolare (e più in generale l’estasi
profetica) è, nel pantheon olimpico, una prerogativa di Apollo e Zeus,
esattamente come nel resto dei pantheon indoeuropei (Odino, Lugh, Varuna e Numa
Pompilio).
Nessun
altro dio olimpico ha mai avuto (nel mito come nella storia) una così stretta
connessione con la formazione della società umana, fatta eccezione per il già
citato Zeus, che incarna però la giustizia universale e il fato
imperscrutabile. Non può dunque essere un caso se i giochi panellenici venivano
fatti in onore di questi due dèi (i Pitici per Apollo, gli Olimpici e i Nemeani
per Zeus): quando si svolgevano, le guerre si interrompevano e tutti i Greci si
ricordavano della loro identità etnica.
L’occhio magico, il lupo e il corvo
Le
popolazioni indoeuropee hanno conservato dei tratti comuni che spesso si
ritrovano nei miti o nella liturgia, che ci permettono di identificare le
connessioni esistenti tra i vari dèi. Un buon esempio è la simbologia
dell’occhio magico: di Varuna si dice che i suoi occhi sono la luna e le
stelle, e ciò lo rende di fatto onniveggente; Odino sacrificò il suo occhio,
gettandolo nel pozzo di Mimir, al fine di ottenere la conoscenza di tutte le
cose, e col quale atterriva i nemici; la storia di Lugh è anche più complessa:
suo nonno Balor, re dei Fomori, possedeva un occhio cieco e magico (era stato
intaccato dalle fumigazioni di una pozione che bolliva in un calderone), che il
nipote gli aveva strappato dopo averlo sconfitto, facendolo suo. Persino a Roma troviamo
qualcosa del genere nella figura di Orazio Coclite, il guerriero con un solo occhio
che da solo affrontò le armate di Porsenna, difendendo un ponte. Ma, di contro,
nessun mito accenna a qualcosa riguardo gli occhi di Zeus: del resto gli
Olimpici sono entità fisicamente perfette per antonomasia, con la sola
eccezione di Efesto, il quale è appunto disprezzato per la sua zoppia.
È
tuttavia ancora Licurgo a presentare una storia particolare in quest’ambito
quando, a causa di alcune sue leggi, venne aggredito dai suoi compatrioti: “E, prima che gli altri lo catturassero, si
rifugiò in un tempio. Un giovane, peraltro di indole non cattiva, ma brusco e
irascibile, un certo Alcandro, gli si era messo alle calcagna e lo inseguiva.
Appena Licurgo si girò, il giovane lo colpì col bastone e gli cavò un occhio.
Ma Licurgo non cedette per nulla al dolore, e anzi si fermò affrontando gli
inseguitori, e mostrò ai concittadini il volto coperto di sangue e l’occhio
rovinato. A quello spettacolo essi furono presi da vergogna e umiliazione così
profonde che gli consegnarono Alcandro e lo accompagnarono fino a casa,
manifestando la loro comune indignazione.”[9] E
abbiamo quindi un personaggio a cui viene cavato un occhio, che diventa da quel
momento in grado di terrorizzare gli astanti, esattamente come nel resto delle
mitologie indoeuropee; se questo mito appartenesse in origine a Zeus o, più
probabilmente, ad Apollo, non lo sapremo mai.
Altra
simbologia comune degli dèi sovrani (almeno in Europa, non così in India e in
Persia) è la loro connessione con il lupo: in Scandinavia, Tyr sacrifica la sua
mano nelle fauci di Fenrir, il quale è destinato a divorare Odino, e Odino
stesso ha accanto al suo trono due lupi, Geri e Freki, e i suoi seguaci si
mutavano in lupi; a Roma, Romolo viene allevato da una lupa, e assieme al
fratello istituisce la festa purificatoria dei Lupercalia[10];
forse lo stesso Lugh è connesso a questo animale nella figura di suo figlio, Cu
Chulainn; e ovviamente, come abbiamo visto, il lupo è anche l’animale associato
ad Apollo. Tuttavia, a riprova di questo discorso, anche Zeus era connesso al lupo
tramite l’epiteto Liceo (Lykaios): “Appellativo cultuale attribuito a Zeus in
Arcadia; qui, sulla cima dell’omonimo monte, si trovava un importante santuario
del dio (i più antichi resti venuti alla luce risalgono al sec. VII a.C.). Ogni
anno vi si celebravano le feste dette Licee. La maggior parte degli studiosi
concorda nel ricollegare l’appellativo L. a lykos, lupo (quindi ‘Zeus lupo’ o
‘protettore dei lupi’); numerose tradizioni ricordano che, nella fase più
antica, il culto di Zeus comportava sacrifici umani; si credeva inoltre, come
testimonia Platone, che se un uomo avesse mangiato interiora umane insieme alle
altre carni sacrificali, sarebbe stato trasformato in lupo.” [11] È
interessante notare come, ancora una volta, i miti dell’Arcadia siano così
primitivi e particolari: non solo Callimaco accenna a una storia della nascita
di Zeus in quel luogo (e non a Creta), ma il celebre re Licaone, mutato dal dio
in lupo, era un sovrano arcade, la cui storia è forse connessa ai riti in
questione.
Per
quale ragione il lupo fosse associato alla sovranità e alla legge, nel mondo
indoeuropeo, non è facile a dirsi: la cosa più probabile è che ciò dipendesse da
un’identificazione dell’antico popolo delle steppe con questo animale, un predatore
che vive in branchi con una solida struttura sociale. Non a caso anche presso
altri popoli nomadi, come i Mongoli, il lupo è il messaggero di Tengri, il
sovrano celeste.
Forse
un discorso simile può essere fatto per il corvo: Huginn e Muninn sono i corvi
che riferiscono a Odino quanto accade nel mondo, e alcuni studiosi come De
Vries connettono Lugh a questo animale tramite il mito di fondazione di Lione[12]; il
mondo celtico comunque ha molti altri legami “regali” col corvo (bran): questi è l’uccello della
Morrigan, la dea regina, e molti capi delle leggende hanno nomi derivati dal suo,
come Brenno in Italia o il più famoso Bran il Benedetto in Britannia (il quale
si ricollega fin troppo facilmente, a mio avviso, al mito di Odino). E in
Grecia è ovviamente Apollo ad avere il corvo come animale sacro e associato
alla capacità profetica, reso nero dopo che, stando al mito, gli aveva riferito
del tradimento della sua amata Coronide.
Il canto magico e la sessualità ambigua
Senza
voler parlare dei lunghi inni cantati del mondo vedico, è d’obbligo notare
come, presso i popoli indoeuropei dell’Europa, il canto (e con esso l’arte
poetica e gli incantesimi) fosse un attributo della sovranità: sono il re e i
suoi aiutanti a intonare la liturgia divina, esattamente come nella mitologia
coloro che cantano e suonano sono gli dèi sovrani: Lugh è un maestro della
poesia, Odino è l’ispiratore dei poeti, e allo stesso modo in Grecia, laddove
Zeus è divenuto un sovrano troppo elevato per avere una simile attribuzione,
ciò è una prerogativa di Apollo, colui che conduce le Muse in coro. E se è vero
che, a parte qualche sporadico caso (come Marsia), non abbiamo miti connessi
alla musica del dio, il canto magico è ben presente in una figura connessa ad
Apollo, e cioè Orfeo (a volte suo figlio, altre suo semplice devoto): il mitico
cantore è infatti in grado di ammaliare uomini, animali, piante e persino
oggetti inanimati e dèi. Nel mondo norreno effetti simili sono connessi ai galdrar (canti magici) del seidhr, una forma di arte magica ad
appannaggio delle donne che, se veniva utilizzata da uomini, comportava
probabilmente il travestitismo e atti omosessuali: sia Odino che Loki sono
praticanti di quest’arte, e forse non è un caso che Orfeo sia, secondo la
tradizione greca, l’inventore dell’amore omosessuale.
Vorrei
dunque soffermarmi su questo punto. Il mondo mediterraneo non indoeuropeo ha
sempre visto l’omosessualità come qualcosa di condannabile: essa è totalmente
assente nei miti dei popoli semitici, e in Egitto viene associata a Seth, dio
negativo per definizione; compare come un peccato di cui rendere conto a
Osiride nel Libro dei Morti, e la Bibbia riporta innumerevoli condanne nei
confronti di questa pratica. Viceversa, il mondo indoeuropeo non sembra
avversarla: se in Scandinavia, in epoca tarda, essa era condannata, restava
comunque connessa alle pratiche magiche e sciamaniche; nel mondo celtico
abbiamo miti riguardanti l’omosessualità (per giunta fertile), e a Roma la sua
pratica attiva era un potente segno di virilità. Ovviamente fu la Grecia a strutturare
(anzi, a istituzionalizzare) questa pratica, e per tutti i dettagli rimando al
libro della Cantarella, Secondo Natura[13].
Quel che ci interessa qui è l’appartenenza dell’atto omosessuale alla sfera
della sovranità.
Di
recente, i movimenti LGBT hanno preso Dioniso come simbolo, probabilmente in
vista del fatto che è un dio dell’eccesso; in realtà, questi non è particolarmente
connesso all’omosessualità: i miti gli ascrivono due soli amanti, Prosimno
(citato da Pausania nel II secolo a.C.) e Ampelo (citato da Nonno nel V secolo
d.C.), come visto entrambi molto tardi (e di cui solo il primo dovrebbe avere
un significato religioso oltre che mitologico). In compenso, a detenere il
record degli amori omosessuali è Apollo, subito seguito da Poseidone (di cui
parleremo più nel dettaglio a breve); sembra invece che Zeus non abbia avuto
amanti a parte Ganimede, che resta quindi l’unico caso (e di scarso interesse
per noi), compensando però con una sessualità comunque molto attiva.
Gli
amori di Apollo e Poseidone hanno sempre una valenza iniziatica sociale: non mi
dilungherò qui nel descrivere caso per caso, visto che è già stato magistralmente
fatto da Sergent[14], ma a livello generale
possiamo dire che quelli del dio del mare sono fondativi delle monarchie,
quelli del dio della poesia sono di promozione civica; non solo: alcuni di
questi ultimi ricevono dal dio il dono della profezia (Smicro, Eleno e Carneo),
a ulteriore riprova della connessione tra l’atto iniziatico omosessuale e la
capacità magica.
Da
dove deriva tutto ciò? Forse dipende dal fatto che, mentre nella Mezzaluna
Fertile la donna aveva un’importanza molto effimera nella struttura sociale, in
una società nomade come quella indoeuropea i ruoli erano nettamente più fluidi,
e dunque le differenze piuttosto appianate. Per questa ragione ritroviamo in
Grecia eroi che cambiano sesso (come Tiresia) e che si travestono da donna
(Achille), cosa impensabile nel mondo egizio o semitico. Allo stesso modo
l’atto omosessuale, nelle sua varie sfumature a seconda del popolo, resta
legato alla sovranità.
I Cronidi: tre fratelli, un solo dio
La
comparsa di Poseidone in tutto questo sistema può aver sorpreso: il dio del
mare, e in generale delle acque sotterranee, non potrebbe a primo acchito
essere connesso in alcun modo al mondo indoeuropeo, derivato dalle steppe
asiatiche, e infatti viene quasi sempre ritenuto un dio di origine
mediterranea, e per delle buone ragioni, in quanto compare nella Lineare B, e
nei miti ambientati a Creta è collegato al toro. Tuttavia secondo me la
faccenda è più complessa, perché il dio che è giunto fino a noi non è, per
forza di cose, lo stesso dell’epoca minoica.
Poseidone
ha tutti gli attributi della sovranità: è un re divino che governa su un intero
mondo (il mare), è fondatore di monarchia (tramite il suo amante Pelope), ha
capacità profetiche (l’oracolo di Capo Tenaro e quello fondato da Odisseo[15]), ha
dei giochi panellenici suoi (quelli Istmici), ha capacità metamorfiche e una
sessualità molto attiva, e il suo animale sacro è, oltre al toro, il più
celebre cavallo (tipico delle steppe più che dell’area mediterranea); oltre a
questo, in città come Argo, Calauria e Pilo egli deteneva un culto maggiore
persino rispetto a Zeus, il che lo rendeva di fatto una sorta di “Zeus marino”
delle città costiere: il dio indoeuropeo avrebbe nella sostanza vinto su quello
minoico, di cui però manterebbe il nome. E un discorso simile potrebbe essere
fatto per Ade, anche lui sovrano di un mondo (l’oltretomba) e profeta (gli
oracoli dei morti sono menzionati sin da Omero), seppur con uno spessore
mitologico nettamente inferiore; mi sento di far notare che, nella tomba etrusca dell’Orco, Ade (Aita) appare rappresentato con una pelle di lupo.
Tutto
questo mi ha portato a pensare che forse, in origine, i tre Cronidi non fossero dèi distinti, ma lo siano diventati in vista del mutamento particolare
della società greca. In un vecchio articolo (che trovate QUI) avevo parlato di
come i mondi concepiti dall’uomo greco almeno dell’epoca arcaica (oltre alla
terra appunto il cielo, il mare e gli inferi) dovessero apparire come mondi
“altri”, distinti alla maniera delle varie città-stato, e la logica conseguenza
non poteva che essere che ognuno avesse un proprio signore. Ma, come detto,
nella struttura indoeuropea i re sono unicamente due, e regnano assieme:
governare tre regni distinti sarebbe stato impensabile per l’uomo greco. Da lì
può essere nata, a mio avviso, la scissione del dio sovrano originario nello
Zeus celeste (che impugna appunto la folgore), nel Poseidone marino (col
tridente) e nell’Ade infero (col forcone); non può essere un caso se i tre
Cronidi condividono non solo l’aspetto fisico ma, come visto, anche molte
caratteristiche religiose e mitologiche.
Conclusioni
Con
ogni probabilità uno dei più grandi sconvolgimenti della Grecia, sempre
derivante dal retaggio egizio e semitico, è la presenza dei sacerdoti: nessun
altro popolo indoeuropeo aveva un’istituzione simile[16],
poiché il culto era ad appannaggio del re (o, per estensione, della nobiltà e
del capofamiglia); venendo dunque a costituirsi un gruppo di persone addette al
sacro per così dire “a tempo pieno”, anche il dio re-sacerdote è decaduto,
lasciando ampio spazio al solo dio re-legislatore, per quanto le sue
caratteristiche si siano conservate nella mitologia, distribuendosi (abbastanza
alla rinfusa) tra Zeus e Apollo.
Questo
lungo excursus tra indoeuropeismo e
mitologia greca voleva più che altro essere sia un modo per mettere per
iscritto alcune idee, sia uno spunto di riflessione ulteriore. Sicuramente
spero di aver fatto notare come gli elementi classici del mito indoeuropeo si
riscontrino, per quanto imbastarditi e confusi, anche su suolo ellenico: una
ricostruzione della trifunzionalità mi pare ora più possibile, anche in vista
del fatto che Dumézil ha già identificato in Eracle un chiaro e perfetto
esempio di seconda funzione.
Un sentito grazie a Luca Tarenzi per
avermi dato moltissime idee e suggerimenti per la stesura dell’articolo.
[1] Bernard
Sergent, L’omosessualità nella mitologia
greca, Laterza (Bari 1986), p. 188.
[2] Callimaco,
Inni 1.
[3] In
Persia, Mitra è sottoposto ad Ahura Mazda, divenuto il dio supremo con lo
zoroastrismo; in Scandinavia, Tyr è una figura di minore importanza rispetto a
Odino (tanto da non rientrare nella triade di Uppsala); a Roma Fidius è
praticamente scomparso, confluendo in Giove; nel mondo celtico, Nuada è un
personaggio minore rispetto a Lugh, al quale è dedicata anche un’importante
festa.
[4] Walter
Burkert, La religione greca di epoca
arcaica e classica, Jaca Book (1977), pp. 290 e 293.
[5] Filippo
Cassola, Introduzione a Inni Omerici, Mondadori (Farigliano 1994),
p. 85.
[6] Plutarco,
Vita di Licurgo 5, 4.
[7]
Burkert p. 291.
[8] Burkert
pp. 295-296.
[9] Plutarco,
Vita di Licurgo 11, 4-5.
[10] Georges
Dumézil, Gli dèi sovrani degli
Indoeuropei, Einaudi (Torino 1985), p. 149.
[11] Garzantine,
Antichità Classica (voce Liceo).
[12] Pseudo-Plutarco,
I fiumi IV: “Mômoro e Atepomaro, cacciati dal potere da Seseroneo, si stabilirono
su questa collina, obbedendo a un oracolo, per fondarvi una città. Quando
scavavano le fondamenta, d’un colpo apparvero dei corvi, volando d’ogni lato,
che riempirono gli alberi. Allora, Mômoros, esperto nei presagi, chiamò questa
città Lougdounon. In effetti, nel loro dialetto, il corvo si chiama lougos e una collina dounon come scrive Clitofone nel libro 13 delle
fondazioni urbane.”
[13] Eva
Cantarella, Secondo natura. La
bisessualità nel mondo antico, Rizzoli (Milano 2010).
[14] Sergent,
op. cit.
[15] Burkert,
p. 282.
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