“Papiri greci magici” (abbreviato in PGM) è il nome dato dagli studiosi a un corpus di papiri provenienti dall’Egitto greco-romano, contenenti una gran varietà di incantesimi e formule, inni e rituali. I testi risalgono a un periodo compreso tra il II secolo a.C. e il V secolo d.C. In effetti, questi rappresentano solo una piccola parte di tutto il sapere magico che ci è pervenuto dal mondo antico: oltre a essi, infatti, abbiamo una gran quantità di altri oggetti, come amuleti, pietre preziose incise con iscrizioni, ostraka e statuette di argilla, tavolette di vari metalli e così via. Tuttavia, il merito dei papiri è ovviamente quello di contenere le istruzioni su come operare.
Sappiamo che nell’Antichità esistevano svariati libri di magia in circolazione, i quali raccoglievano molti incantesimi che venivano praticati anche dalla gente comune. La maggior parte di essi non ci sono ovviamente pervenuti, e ciò si dovette non solo alle persecuzioni dei Cristiani nei confronti dei maghi (basti pensare al rogo di libri che Paolo fece fare a Efeso narrato in At. 19, 10), ma anche al provvedimento di Augusto che nel 13 a.C. fece dare alle fiamme più di duemila testi contenenti profezie e, immaginiamo, anche i procedimenti per ottenerle (Suet. Aug. 31). Tuttavia, in epoca tardoantica, entrò in uso presso diversi filosofi (soprattutto delle scuole più mistiche, come i Neopitagorici, i Neoplatonici, gli Ermetici e gli Gnostici) il collezionare questo genere di libri, ed è grazie a questo che il corpus dei PGM è giunto fino a noi. La loro scoperta ha, per lo studio delle religioni del mondo antico, la stessa importanza dei manoscritti del Mar Morto per il giudaismo e dei rotoli di Nag Hammadi per lo gnosticismo.
La
maggior parte di essi proviene dalla cosiddetta “Collezione Anastasi”, raccolta
da un certo Jean D’Anastasi (1780?-1857) che, nel XIX secolo, si trovava ad
Alessandria d’Egitto in qualità di ambasciatore di Svezia (nonostante lui fosse
di origini armene). Grande appassionato di antichità, raccolse numerosi papiri,
tra i quali appunto la maggior parte dei PGM, i quali si diceva
provenissero da un unico sito, ovvero Tebe (non sappiamo se da una tomba o
dalle rovine di un edificio pubblico, come un tempio o una biblioteca, sebbene
l’ipotesi più plausibile sia quella che si trattasse dei possedimenti di un
privato). La collezione venne in seguito sparsa per vari musei (il British
Museum di Londra, la Bibliotheque Nationale e il Louvre di Parigi, lo
Staatliche Museum di Berlino e il Rijksmuseum di Leida), e nel corso del tempo
altri papiri, raccolti da diverse persone, vennero a integrare il già numeroso corpus
dei PGM.
Se
tutto questo può apparire a noi come una scoperta di grande interesse,
all’epoca questi reperti non suscitarono molta impressione presso storici e
filologi, che consideravano la magia come una sorta di “aberrazione religiosa”,
il cui studio non solo era facoltativo, ma addirittura sconsigliato. A mo’ di
esempio della poca popolarità dell’argomento basti pensare che nel 1905, quando
il grande storico della religione greca Albrecht Dieterich volle tenere un
ciclo di incontri proprio sui PGM, lo intitolò Brani selezionati dai
papiri greci, di fatto ingannando il pubblico, che non avrebbe altrimenti
partecipato. Col tempo, comunque, l’argomento appassionò sempre di più gli
studiosi, sebbene la prima edizione veramente completa dei papiri magici si
ebbe solo tra il 1928 e il 1941, seguita da un’altra nel 1973-74; tuttavia, quella
a tutt’oggi più facilmente reperibile è del 1986, a cura di Hans Dieter Betz,
ma da allora in poi i PGM non sono mai stati ripubblicati per intero.
In
ogni caso, oggi gli storici sono molto intrigati dai papiri magici, e per diverse
ragioni. Essi sono infatti depositari di una grande letteratura religiosa che
sarebbe andata altrimenti perduta: in essi sono infatti presenti rituali e inni
diversi da quelli dei culti ufficiali, nonché vari accenni a fatti mitologici
altrimenti sconosciuti (le cosiddette historiolae). Oltre a questo, si
tratta di un insieme di testi di varia origine etnica, segno di un pluralismo
culturale e di un sincretismo religioso estremamente ricco. In questo non deve
sorprendere, anche vista la loro origine geografica, la preminenza della
cultura egizia su quella greca e romana; oltre a queste tre, che la fanno da
padrone, sono presenti riferimenti anche a quella babilonese, ebraica e, in
misura minore, cristiana. Gli stessi dèi invocati nei testi non sono quelli statuari
del culto pubblico o metafisici della filosofia: essi appaiono come entità
molto vicine agli uomini, che possono entrare nelle loro vite, benevoli se
correttamente invocati e pericolosi se viene scatenata la loro ira.
Un’altra
importante caratteristica dei PGM sono le numerose invocazioni alle
divinità dell’oltretomba, cosa non certo nuova per la magia greco-romana (basti
pensare alle maledizioni scritte su tavolette di piombo e gettate nelle tombe),
qui acuita dal contesto egizio, da sempre molto legato alla morte. Ecate,
identificata con Persefone, Selene, Artemide, le Erinni ed Ereshkigal, è una
delle dee più invocate, assieme a Osiride, Iside e agli dèi a essi correlati, e
poi Ermes, Afrodite e l’ebraico Sabaoth; a questo proposito, occorre menzionare
anche il misterioso Abraxas, che studi recenti vorrebbero accostare al termine
IAŌ, finora considerato una forma del nome Yahweh, ma che potrebbe in realtà
essere una sorta di parola magica posta all’inizio delle formule (in maniera
simile all’ohm dell’induismo). Gli dèi “cosmici” sono citati molto
spesso, come ad esempio la Natura, il Tempo e la Moira (il destino), sebbene il
posto di maggior preminenza sia quello riservato al Sole, qui chiamato
indifferentemente Elio, Apollo, Ra e Mitra; tra le divinità legate al cielo non
dobbiamo infine dimenticare l’egizio Seth, identificato con la costellazione
dell’Orsa Maggiore, in grado di realizzare qualunque incantesimo.
La
longevità dei papiri magici è qualcosa di straordinario. Ancora nel XVI secolo
troviamo in Egitto alcuni incantesimi che sono la trascrizione degli stessi PGM, con minime varianti: in alcuni punti sono più chiari, in altri
hanno invece lacune non riscontrabili in quelli più antichi, e così via. Questo
porterebbe a pensare che ancora all’inizio dell’epoca ottomana circolassero
quegli stessi incantesimi, e che dunque ci fosse una matrice comune, più antica
di entrambe le versioni che ci sono pervenute. È altrettanto straordinario il
fatto che in pieno periodo musulmano, in Egitto i praticanti di magia avessero
ancora a che fare con gli antichi dèi, per quanto sicuramente in forma
edulcorata e “superstiziosa”.
L’aspetto
che forse interessa più i lettori è però la risposta alla domanda: questi
incantesimi sono utilizzabili ancora oggi?
La
risposta è tendenzialmente negativa, e dipende da due fattori. Il primo, più
tecnico, è che solo una minoranza dei papiri ci è arrivata del tutto integra:
molti, infatti, presentano lacune nel testo, a volte ricostruibili, altre no;
ne risulta dunque che il procedimento descritto può mancare di alcune
indicazioni o addirittura di parole da pronunciare. L’altro è che si tratta di
incantesimi che fanno riferimento a un mondo che non è il nostro, dove c’erano
decisamente meno remore nel compiere operazioni che oggi riterremmo immorali o
spregiudicate: in PGM III, 1-164, ad esempio, per eseguire una
divinazione occorre prendere un gatto, affogarlo e poi infilargli delle piastre
incise con delle formule nell’ano e nella gola. Hanno dunque un bel dire gli
scrittori che immaginano la magia antica (e in questo caso specifico quella
egizia) come qualcosa di molto simile alla nostra, spacciando le pratiche
cerimoniali ottocentesche come quelle originali dell’epoca.
Oltre a questo, si fa spesso riferimento a codici linguistici di cui non abbiamo l’assoluta certezza: per fare qualche esempio, quando si nomina il “sangue di una testa” si intende in realtà il lupino, mentre “l’aquila” è l’aglio selvatico, l’“osso di medico” è l’arenaria, il “seme di leone” lo sperma umano, la “testa di serpente” la sanguisuga, e così via. Questo non fa nient’altro che aumentare la difficoltà di comprensione, e non possiamo nemmeno essere certi che in alcuni casi questo codice non andasse usato: nelle prescrizioni che seguono l’inno a Selene (PGM IV, 2785-2870), ad esempio, si parla del “sangue di un uomo morto di morte violenta”, ma questo termine non compare nel lessico che i PGM stessi ci forniscono. Va dunque inteso alla lettera? O c’erano altre parole che non ci sono giunte?
Detto
questo, dunque, che senso ha leggere oggi i papiri greci magici?
Anzitutto,
per avere una visione più chiara di come fosse concepita realmente la magia nel
mondo antico. Quali strumenti utilizzavano i maghi dell’epoca? Quali formule, e
quali ingredienti? Come si approcciavano agli dèi, che cosa chiedevano e come
li ripagavano? In secondo luogo, perché questi testi sono un ricettacolo di
preghiere e inni pregni di un sincretismo e di un afflato mistico come lo si
può trovare solo nelle opere di devozione. Di seguito, dunque, riporterò tre di
questi scritti, proprio per darne un esempio.
Preghiera a Elio di consacrazione per ogni scopo (PGM IV, 1596-1715)
Io t’invoco, più grande tra gli dèi, eterno signore, dominatore del mondo, che sei sopra il mondo e sotto di esso, signore potente del mare, che sorgi all’alba, che splendi dall’Oriente per il mondo intero, che tramonti nell’Occidente. Vieni a me, tu che ti levi dai quattro venti, benevolo e favorevole Agatodemone, per il quale il cielo è divenuto la via lungo cui procedere. Io invoco i tuoi santi e grandi e nascosti nomi che gioisci nell’udire. La terra è fiorita dove tu hai sparso il tuo splendore, e le piante si sono colmate di frutti dove hai mostrato il tuo sorriso; gli animali hanno generato i loro piccoli dove lo hai permesso.
Concedi gloria e onore e favore e fortuna e potere
a costui, NN, la pietra che io oggi consacro [o al filatterio che viene consacrato] in favore di NN [aggiungere il nome].
Io ti invoco, più grande nei cieli, […] il grande dio,
[…] lo splendente Elio, che dà luce attraverso il mondo intero. Tu sei il
Grande Serpente, signore di tutti gli dèi, che controlli l’inizio dell’Egitto e
la fine dell’intero mondo abitato, che ti unisci nell’Oceano, PSOI PHNOUTHI
NINTHĒR. Tu sei colui che diviene visibile ogni giorno e tramonta a nord-ovest
del cielo, e sorge a sud-est.
Nella prima ora hai la forma di un gatto; il tuo nome
è PHARAKOUNĒTH. Concedi gloria e favore a questo filatterio.
Nella seconda ora hai la forma di un cane; il tuo nome
è SOUPHI. Concedi forza e onore a questo filatterio, o a questa pietra, e a NN.
Nella terza ora hai la forma di un serpente; il tuo
nome è AMEKRANEBECHEO THŌUTH. Concedi onore al dio NN.
Nella quarta ora hai la forma di uno scarabeo; il tuo
nome è SENTHENIPS. Rafforza con potenza questo filatterio in questa notte, nel
nome del lavoro nel quale esso è consacrato.
Nella quinta ora hai la forma di un asino; il tuo nome
è ENPHANCHOUPH. Concedi forza e coraggio e potere al dio NN.
Nella sesta ora hai la forma di un leone; il tuo nome
è BAI SOLBAI, il signore del tempo. Concedi successo a questo filatterio e
gloriosa vittoria.
Nella settima ora hai la forma di un capro; il tuo nome
è OUMESTHŌTH. Concedi fascino sessuale a quest’anello (o a questo filatterio, o
a questa incisione).
Nell’ottava ora hai la forma di un toro; il tuo nome
è DIATIPHĒ, colui che diviene visibile ovunque. Fa’ che tutte le cose fatte per
mezzo di questa pietra siano portare a termine.
Nella nona ora hai la forma di un falco; il tuo nome
è PHĒOUS PHŌOUTH, il loto emerso dall’abisso. Concedi successo e buona fortuna
a questo filatterio.
Nella decima ora hai la forma di un babbuino; il tuo
nome è BESBYKI. [Forse
manca la preghiera.]
Nell’undicesima ora hai la forma di un ibis; il tuo
nome è MOU RŌPH. Proteggi questo grande filatterio per il fortunato uso di NN,
dal giorno presente ad ogni tempo.
Nella dodicesima ora hai la forma di un coccodrillo;
il tuo nome è AERTHOĒ. [Anche
qui pare manchi la preghiera.]
Tu che sei tramontato alla sera come un vecchio,
che sei al di sopra del mondo e sotto di esso, signore potente del mare,
ascolta la mia voce in questo giorno, in questa notte, in queste sante ore, e
concedi che tutto quel che è fatto tramite questa pietra, o questo filatterio,
sia portato a compimento, e soprattutto l’impresa NN [specificare il compito] per la quale io lo sto consacrando. Ti
prego, signore KMĒPH LOUTHEOUTH ORPHOICHE ORTILIBECHOUCH IERCHE ROUM IPERITAŌ
YAI! Io invoco la terra e il cielo e la tenebra e il grande dio che ha creato
ogni cosa, SAROUSIN, tu, Agatodemone il Soccorrevole, per portare a termine per
me qualunque cosa fatta per mezzo di questo anello o di questa pietra!
[…]
L’unico Zeus è Serapide!
Preghiera a Selene per ogni
incantesimo (PGM IV, 2785-2870).
Vieni a me, o amata signora, Selene dai tre volti;
benignamente ascolta i miei sacri canti;
ornamento della notte, giovane, porti luce ai mortali, /
o figlia del mattino che cavalchi tori selvaggi,
o regina che guidi il tuo carro in egual corsa
con Elio, che con la triplice forma
delle tre Cariti danzi in abbandono con /
le stelle. Tu sei Dike [Giustizia] e il filo della Moira:
Cloto e Lachesi e Atropo,
dalle tre teste, tu sei Persefone, Megera,
Alletto, dalle molte forme, che armi le tue mani /
con temute e torbide lampade, che scuoti le tue trecce
di spaventose serpi sulla tua fronte, che fai risuonare
il muggito dei tori dalle tue bocche, il cui ventre
è addobbato con le squame di creature striscianti, /
con file di serpenti velenosi sulla schiena,
legati lungo essa con orribili catene,
banditrice notturna, dal volto di toro, amata solitudine,
dalla testa di toro, hai occhi di toro, / la voce
dei cani; nascondi la tua forma negli stinchi dei leoni,
le tue anche hanno forma di lupi, i cani feroci sono cari
a te, e perciò essi ti chiamano / Ecate,
dai molti nomi, Mene, che fendi l’aria come
la saettatrice Artemide, Persefone,
cacciatrice di cervi, notte / splendente, dal triplo suono,
dalle tre teste, dalle tre voci, Selene
dalle tre punte, dalle tre facce, dai tre colli,
e dea delle tre vie, che reggi
un fuoco instancabile e fiammeggiante in tre cesti, /
e tu che spesso frequenti le tre vie
e governi le tre decadi, con me,
che ti sto chiamano, sii gentile e benignamente
prestami ascolto, tu che proteggi il vasto mondo
durante la notte, davanti alla quale i demoni si agitano per la paura /
e gli dèi immortali tremano, dea che
esalti gli uomini, tu dai molti nomi, che rechi
giusta prole, dagli occhi di toro, cornuta, madre degli dèi
e degli uomini, e Natura, madre di tutte le cose,
perché tu frequenti l’Olimpo, / e attraversi
il baratro ampio e senza confini. Tu sei principio
e fine, e tu sola governi ogni cosa.
Perché ogni cosa deriva da te, e in te
tutte le cose, Eterna, giungono alla loro fine.
Come eterna / fascia attorno ai tuoi templi
tu indossi le catene del grande Crono, indistruttibile
e inamovibile, e tieni
nelle tue mani uno scettro d’oro. Le lettere attorno
al tuo scettro / lo stesso Crono le ha scritte e date
a te da indossare perché tutte le cose restassero salde:
soggiogatrice e soggiogata, soggiogatrice del genere umano
e assoggettatrice di forza; tu governi anche il Caos.
Salve, o dea, e ascolta i tuoi epiteti,
io brucerò per te questa spezia, o figlia di Zeus,
saettatrice, celeste, dea dei porti,
che vaghi per i monti, dea dei crocicchi, /
o chiara e notturna, e infera,
dea del buio, silenziosa e spaventosa,
o tu che consumi il tuo pasto tra le tombe,
Notte, Oscurità, ampio Caos: tu sei la Necessità
dalla quale è difficile scappare; tu sei la Moira e /
l’Erinni, tormento, giustizia e distruttrice,
e tieni Cerbero in catene, con squame
di serpenti tu sei oscura, o tu con capelli
di serpi, cinta di serpenti, che bevi sangue, /
che porti morte e distruzione, e che banchetti
coi cuori, mangiatrice di carne, che divori i morti
prematuri, e tu che fai risuonare il dolore
e spargi la follia, vieni ai miei sacrifici,
e ora per me esaudisci questa richiesta.
Preghiera a Seth-Tifone per l’interrogazione del bacile (PGM VI, 180-200).
Potente
Tifone, governatore del regno
di sopra e signore, dio degli dèi, signore
ABERAMENTHŌOU (formula),
o disturbatore
delle tenebre, portatore del tuono, tempesta,
che lampeggi
nella notte, che respiri caldo e freddo,
che scuoti le rocce,
che fai tremare le mura, che fai ribollire
le onde,
disturbatore delle grandi profondità del mare, /
IŌ / ERBĒT AU
TAUI MĒNI,
io sono colui
che ha cercato con te per il mondo intero e
ha trovato il
grande Osiride, e te lo ha portato in catene.
Io sono colui
che si è unito a te nella guerra con gli dèi
(ma altri
dicono, “contro gli dèi”).
Io sono colui
che ha chiuso le doppie porte del cielo e messo
a dormire il
serpente che non deve essere visto,
che ha fermato
i mari, i torrenti e le correnti dei fiumi
ovunque tu
domini in questo regno. E come tuo soldato
sono stato
sconfitto dagli dèi, sono stato
gettato con la
faccia a terra dalla loro vuota ira. /
Fai sorgere il
tuo amico, ti scongiuro, ti imploro;
non gettarmi
al suolo, o signore degli dèi,
AEMINAEBARŌTHERBETHŌRABEANIMEA,
Dammi il
potere, ti prego, e fammi
questo favore,
cosicché, quando dirò
a uno degli
dèi di giungere, egli sarà visto arrivare
velocemente a
me in risposta al mio canto…”
Bibliografia
- Betz H. D. (a cura di), The
greek magical papyri in translation including the demotic spells,
Chicago Press, Chicago-Londra, 1986.
- Luck G., Il magico nella
cultura antica, Mursia, Milano, 1994.
- Riberi P. - Caputo I., Abraxas:
la magia del tamburo. Il culto dimenticato del dio cosmico, dallo sciamanesimo
alla gnosi, Mimesis, Asti, 2021.
- Skinner S., Tecniche di magia
greco-egizia, Venexia, Padova, 2022.