venerdì 7 ottobre 2016

Storia della Magia 02 - Lo sciamanesimo e la magia estatica



LO SCIAMANESIMO

Uno sciamano olkhon col suo tamburo.

Per sciamanesimo (dal tunguso shaman) si intende in genere una serie di tecniche di tipo magico connesse all’estasi, diffuse (oggi o un tempo) nella maggior parte delle popolazioni pre-letterate del globo; in tutte le culture nelle quali è presente, lo sciamano è in genere la figura religiosa più importante, anche se non è per forza l’unica. Questo insieme di tecniche consente allo sciamano di viaggiare in forma extracorporea fuori dal mondo materiale ed entrare così in contatto con gli spiriti, in genere allo scopo di guarire qualcuno. Questi spiriti possono essere di vario genere, in base alla cultura: anime di defunti, spiriti della natura, animali totemici, e via dicendo; alcuni di essi si legano personalmente allo sciamano, fungendo così da guida e da sostegno durante i viaggi negli altri mondi.
Lo sciamano diventa tale in vari modi, ma di solito ciò avviene a causa di un trauma che genera la prima estasi (il caso più classico è una malattia, ma anche il sopravvivere a un evento catastrofico): il soggetto ha una visione nella quale gli spiriti smembrano il suo corpo e poi lo ricompongono, donandogli facoltà soprannaturali, che poi si rivelano essere reali; a quel punto il novello sciamano viene istruito da uno sciamano più anziano, e spesso riceve una vera e propria iniziazione pubblica. Non è raro che lo sciamanesimo si trasmetta “per sangue”, ovvero che il figlio di uno sciamano diventi a sua volta uno sciamano, ma non è la regola (è presente solo in alcune popolazioni): potenzialmente chiunque può essere scelto dagli spiriti per acquisire queste facoltà particolari.
Lo sciamano compie molte attività per la tribù alla quale appartiene, ma in genere si tratta soprattutto di cure: quando una persona è ammalata, e dunque l’anima è uscita da corpo, egli vola in cielo o negli inferi per recuperarla, e permettere così la guarigione; solo lo sciamano infatti può vedere l’anima degli uomini, e ne conosce la forma e il destino. Per indursi l’estasi e viaggiare, lo sciamano usa vari metodi, a seconda della popolazione alla quale appartiene: dall’uso di musica ritmica e ripetitiva (il tamburo, il sonaglio, ma anche strumenti a corda) all’assunzione di sostanze psicotrope (peyote, ayahuasca, vari tipi di funghi), più raramente digiuno e privazione del sonno.
Si è a volte voluto accostare lo sciamanesimo alla psicopatologia ma, come fa notare Eliade, il malato mentale è più che altro un mistico mancato, o la scimmiottatura di un mistico, in quanto la sua esperienza è priva di contenuto religioso anche presso le popolazioni che possiedono sciamani.
In genere, comunque, si associa lo sciamanesimo alle popolazioni primitive e a luoghi selvaggi; in realtà, dopo la sua riscoperta a opera di accademici come Eliade e Harner, in seno alla religione neopagana molti hanno cominciato a praticarlo anche oggi in ambito cittadino: il fenomeno dello sciamanesimo urbano si basa dunque sulla concezione per la quale le tecniche e l’immaginario propri dello sciamanesimo tradizionale possano essere adattati al quotidiano della vita occidentale. Per fare alcuni esempi, gli animali totemici possono essere quelli che ben si sanno muovere in città (piccioni, ratti, corvi, gatti, cani,…); i grattacieli diventano le scale verso il regno celeste, e le stazioni della metropolitana quelle verso il regno infero; gli spiriti negativi contro i quali lo sciamano combatte non sono più quelli del colera o della carenza di cibo, ma quelli dell’AIDS, del crimine e della povertà.
Il tutto si basa su un assunto antropologico molto semplice: lo sciamano “primitivo” si muove nella foresta come se fosse casa sua, sa dove trovare cibo e acqua, conosce le caratteristiche di piante e animali e, di conseguenza, il linguaggio degli spiriti associati; parimenti, lo sciamano “urbano” sviluppa una gran quantità di competenze per sopravvivere nella sua foresta, ovvero la città, la “natura” nella quale vive e con cui interagisce: per tale ragione egli può, ad esempio, comunicare con gli spiriti dei lampioni e delle automobili. Lo stesso vale ovviamente per le tecniche che usa per indursi l’estasi: meno spesso con l’ausilio di sostanze psicotrope (dalle quali vanno escluse le droghe eccitanti e morfiniche, come la cocaina e l’eroina), il più delle volte con la musica, non quella tradizionale col tamburo, ma quella moderna dei rave e delle discoteche, o del semplice lettore mp3. Lo scopo dello sciamano urbano resta ovviamente quello di aiutare la propria comunità (qualunque essa sia, dalla famiglia al gruppo di amici, all’ambiente lavorativo), spesso guarendo malattie sia psichiche che fisiche.

IL SEIDHR

Riproduzione di una seduta di seidhr.

Una delle forme più particolari di sciamanesimo, testimoniata in epoca storica, è il seidhr delle popolazioni scandinave, di cui abbiamo notizia grazie alla mitologia e alle saghe epiche medievali: Snorri, nell’Edda, riferisce che quest’arte era nota alla stirpe divina dei Vani, dai quali, in particolare da Freyja, fu insegnata agli Asi. Odino ne divenne espertissimo: grazie a essa egli poteva lasciare il corpo in uno stato di trance simile al sonno o alla morte, e assumere un altro aspetto; inoltre sapeva accecare, assordare e atterrire i nemici rendendo le loro armi inoffensive; comandava gli elementi; parlava con i morti e conosceva le rune, oltre a quei canti magici definiti galdrar. Snorri aggiunge tuttavia che questa pratica comprende una grande inverecondia, tanto che essa era assai sconveniente per gli uomini, e per questo fu insegnata alla donne (si è supposto che potesse avere a che fare con pratiche omosessuali).
Da quanto si deduce dalle fonti, il seidhr appare come una magia estatica, parallela ai rituali degli sciamani; nei Lokasenna si fa riferimento all’uso di battere un tamburo (o coperchio), lo strumento che meglio di ogni altro cattura e riproduce un ritmo, e la percussione ripetuta e ossessiva stacca l’anima dal mondo circostante e la trasporta altrove. Al raggiungimento di uno stato di trance dovevano forse servire anche i funghi che secondo la Saga di Erik il Rosso si trovavano nella cintura di una seidhkona. Assai importanti erano anche i canti, in genere fatti dagli assistenti.
La magia prodotta dal seidhr ci è testimoniata a volte come benefica (ad esempio per risanare le ferite o proteggere le persone), più spesso volta a danneggiare i nemici da lontano inviando degli “emissari” magici (sendingr), sottolineando la capacità dei praticanti di abbandonare il corpo e di muoversi attraverso l’anima libera, spesso in forma animale (è risaputo ad esempio che una ferita inferta all’animale si ripresenta poi sul corpo del praticante); non solo, ma in alcune saghe l’anima del seidhmadr si materializza in un animale mostruoso al fine di combattere i suoi nemici durante una battaglia. Infine, è noto che i praticanti del seidhr erano abili nella divinazione.

L’ARTE ORACOLARE

Temi rappresentata come Pizia sul tripode.

La figura sciamanica per eccellenza, nella mitologia greca, è quella di Orfeo, che unisce in sé le professioni di poeta, mago, maestro religioso e datore di oracoli: come certi sciamani leggendari della Siberia, attira con la musica uccelli e animali; come gli sciamani di ogni luogo, visita l’oltretomba per recuperare un’anima rubata (quella della sua amata Euridice); infine, il suo potere sopravvive nella testa mozzata, che canta e continua a dare oracoli anche molti anni dopo la sua morte. Legato al dio profetico Apollo, è anche connesso ai misteri estatici di Dioniso.
Nell’antica Grecia, se da un lato la pazzia era spesso considerata una maledizione divina, quella che veniva indotta coscientemente era un mezzo per ottenere ispirazione dagli dèi; Platone distingueva quattro tipi di furore estatico: quello profetico di Apollo, quello rituale di Dioniso, quello poetico delle Muse e quello erotico di Afrodite ed Eros.
L’esempio più tipico del primo tipo è la Pizia, la sacerdotessa dell’oracolo di Delfi: attraverso l’enthousiasmos il dio entrava in lei e usava la sua voce per comunicare (è per tale ragione che le profezie delfiche sono sempre in prima persona, mai in terza, e spesso in versi poetici). La Pizia si autoinduceva la trance: si faceva il bagno nella fonte Castalia, sedeva sul tripode, bruciava e masticava foglie di alloro, ma non assumeva nessuna sostanza psicotropa; la teoria per la quale aspirasse dei fumi dal terreno è stata smentita ormai da decenni. Contrariamente a quanto si crede, poi, le profezie non avvenivano in segreto, ma spesso la Pizia veniva posseduta sotto gli occhi di chi aveva richiesto i suoi servigi, il quale poteva sentire direttamente la voce del dio. Plutarco testimonia però che non sempre la possessione andava a buon fine: a volte, anziché Apollo, entrava nella Pizia uno spirito malevolo, che la faceva agitare e persino morire; questo se non altro ci indica che ancora in epoca tarda (III secolo d.C.) l’estasi era genuina.
Le figure profetiche non erano però limitate ai templi: molte persone (detti “pitoni” e “ventriloqui”, ovviamente non nel senso moderno del termine) praticavano nel privato delle loro case; sappiamo da Ippocrate che una loro caratteristica, durante la possessione, era il respiro affannoso, segno che indurrebbe a pensare appunto a un’estasi autoindotta.

IL MAZZERISMO

Un mazzeru uccide un cane (in un disegno di Jules Stromboni).

Una delle forme di magia estatica più particolare e poco conosciuta è il mazzerismo della Corsica (e in minor parte della Sardegna), dove alcuni individui (chiamati mazzeri, culpadori o sonnambuli in corso, e mazzamortos o voes corros d’attagliu in sardo) vengono considerati in possesso di facoltà soprannaturali di tipo estatico: in sogno, essi danno la caccia all’anima di una persona (in forma animale) e, se riescono a ucciderla, quella muore entro l’anno; se invece viene solo ferita ha un incidente o si ammala, ma si salva. Si dice inoltre che la notte di tra il 31 luglio e il 1 agosto i mazzeri di diversi villaggi si riuniscano per combattere fra loro armati con varie armi (fra cui anche rami di asfodelo), e che il villaggio della fazione perdente subirà più morti durante l’anno (il rito doveva comunque essere svolto, ancora in epoca recente, in maniera del tutto materiale e festeggiato dall'intero villaggio); sembra comunque che i mazzeri non abbiano una gerarchia o formino un insieme al di là dei singoli villaggi.
I mazzeri diventano tali per ereditarietà: questa facoltà è infatti appannaggio di alcune specifiche famiglie, che provvedono all’iniziazione dei propri membri (in genere ciò si deve a un’errata forma di battesimo); nel quotidiano, essi sono temuti e rispettati, per quanto non si comportino in maniera diversa da persone comuni. I mazzeri infatti non cacciano volontariamente determinate persone, ma si accorgono solo al momento dell’uccisione che l’animale sognato è in realtà qualcuno che conoscono: da qui sono derivati gli appellativi di “cacciatori di anime” e “messaggeri di morte”. Un mazzere può essere esorcizzato con particolari riti simil-cristiani ma, perdendo il suo dono, muore entro l’anno.

IL TARANTISMO

Il violinista Luigi Stifani esorcizza una tarantata.

Uno dei fenomeni estatici più interessanti è quello del tarantismo pugliese: esso si basa sulla credenza per la quale una persona può essere pizzicata (morsa) da uno spirito-ragno (meno spesso un serpente o uno scorpione), detto taranta o tarantola (il quale, va da sé, non ha una reale correlazione con l’animale, il cui morso è doloroso ma non velenoso); ciò che ne consegue è che essa è costretta a ballare, scuotendosi senza potersi fermare, anche fino alla morte. L’unico modo per salvare la sventurata (il posseduto è spesso una donna) è tramite l’esorcismo, da effettuarsi con un particolare tipo di musica detto “tarantella” o “pizzica”, e che consiste nel creare uno spazio circolare nel quale si fa ballare la vittima contro il ragno stesso, al suono del tamburello e invocando san Paolo, nemico giurato della tarantola. L’esorcismo si perpetra per più giorni, richiedendo un grande dispendio di tempo e soldi da parte della famiglia (e degli esorcisti stessi, che non sono preti, ma semplici contadini che sanno suonare); e tuttavia, anche una volta che lo spirito se n’è andato, esso può tornare l’anno dopo, sempre d’estate, o mordere i figli del posseduto: si parla in questo caso di ri-morso, nel senso sia di “mordere di nuovo” che di “sentirsi in colpa”.
Spesso è infatti san Paolo stesso, secondo la credenza, a inviare la tarantola a mordere qualcuno che si è macchiato di un qualche peccato, in genere di natura sessuale. Non solo: nell’immaginario popolare a volte il santo e il ragno sono la stessa cosa, tant’è vero che alcune ballate recitano: “Santu Paulu meu de le tarante / che pizzichi le caruse ‘nmezz’ all’anche. / Santu Paulu meu de li scorzoni / che pizzichi li carusi int’i balloni.” Quando la pizzica non è effettuata a scopo d’esorcismo, infatti, essa è una danza estremamente sensuale, e viene spesso usata per il corteggiamento.

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